giovedì 17 novembre 2011

A Look Into The Depths Of Europe's Recession

La BoE pronta a intervenire ancora, ma giustifica la BCE

Le conferenze stampe del Governatore della Bank of England in occasione delle presentazioni dell’Inflation Report trimestrale sono sempre piene di spunti interessanti e anche questa volta le attese non sono andate deluse. Nel corso della conferenza stampa di ieri, infatti, King ha fornito indicazioni interessanti non solo per quel che riguarda le prospettive della politica monetaria interna, ma ha anche dato la sua visione sugli avvenimenti che stanno riguardando l’area Euro.
Con riferimento alle prospettive della politica monetaria, la BoE ha evidenziato in maniera molto chiara come un’ulteriore espansione del programma di allentamento quantitativo, portato in ottobre da GBP200bn a GBP275bn, sia molto probabile nei prossimi mesi.
La BoE, infatti, ha rivisto considerevolmente al ribasso le proprie proiezioni sull’andamento sia del CPI sia della crescita economica per i prossimi trimestri. Nonostante i dati di ottobre abbiano visto l’inflazione assestarsi al 5% y/y, contro un obiettivo per la Banca Centrale del 2%, la BoE ha stimato che con una politica monetaria invariata il CPI potrebbe scendere sotto il 2% a metà del prossimo anno e rimanere sotto tale livello alla fine del periodo di previsione di due anni. Confrontando le proiezioni di novembre e le precedenti di agosto si nota come la BoE stimi che il target del 2% possa essere mancato in maniera più netta nonostante l’ulteriore incremento della politica monetaria espansiva deciso in ottobre.
Con riferimento alla crescita economica, la BoE ora stima un incremento del Pil nel quarto trimestre del 2012 di poco superiore all’1%, contro l’oltre 2% atteso in Agosto. La revisione al ribasso delle stime sulla crescita economica è stata attribuita principalmente alla crisi che sta colpendo l’area Euro che pesa non solo sulle esportazioni ma anche sul sistema finanziario. King ha evidenziato, ad esempio, come le banche inglesi risentiranno dei problemi di quelle europee pur essendo più solide.
Segnali negativi per l’economia inglese sono arrivati proprio ieri dai dati sul mercato del lavoro. Il tasso di disoccupazione è salito all’8.3% in settembre, massimo degli ultimi 15 anni, con il numero di disoccupati sotto i 24 anni che ha superato la soglia del milione per la prima volta dal 1992.
In questo scenario, gli esperti di mercato sono concordi nel ritenere che la BoE potrebbe decidere un incremento di 50bn del programma di acquisto di asset, con la data più probabile che sembra essere febbraio, quando la BoE pubblicherà le nuove stime su inflazione e GDP e terminerà l’attuale programma di allentamento quantitativo. A tal proposito, il Governatore King ha dichiarato che un’eventuale ulteriore espansione dell’allentamento quantitativo vedrà gli acquisti concentrati ancora sui titoli di stato, smontando le ipotesi che gli acquisti sarebbero stati estesi ad altre categorie di attività. Nel caso tali attese fossero confermate, la BoE arriverebbe a detenere quasi il 40% del debito pubblico inglese.
Nella conferenza stampa, King, pur mettendo in risalto i meriti del programma di allentamento quantitativo attuato in questo momento dalla BoE, ha sottolineato come i problemi dell’area Euro non siano risolvibili dalla politica monetaria. A parere del Governatore della BoE, infatti, i problemi dell’area Euro sono frutto degli squilibri che si sono creati all’interno dell’area Euro negli ultimi anni, ed in particolare dell’andamento dei flussi delle partite correnti. La risoluzione di questi squilibri non potrà avvenire attraverso interventi di breve periodo, ma attraverso interventi che permetteranno di fare guadagnare ai paesi al centro della crisi quella competitività persa negli ultimi anni. Tali interventi, ha evidenziato King, richiederanno anni per essere completati. Spetta, quindi, alla politica fiscale attuare queste manovre che richiederanno un trasferimento delle risorse e non alla politica monetaria. Un assist, quindi, al neo-collega Draghi, anche se nel breve termine la BCE sembra essere l’unica autorità in grado di permettere all’area Euro di non affondare in attesa che i leader dell’area Euro decidano di attuare delle manovre serie per bloccare la crisi.

venerdì 11 novembre 2011

La crisi in area Euro frena anche la Cina

Se c’erano dei dubbi che la crisi del debito nei paesi periferici avrebbe avuto conseguenze sull’economia reale, durante questa settimana sono stati definitivamente eliminati. La produzione industriale è crollata in settembre sia in Germania (-2.7% m/m), sia in Francia (-1.7% m/m) sia in Italia (-4.8% m/m). Con gli indici di fiducia delle imprese che continuano a puntare verso il basso, un ulteriore peggioramento dell’attività economica nell’ultima parte dell’anno sembra scontato, così come un’entrata in recessione dell’area Euro.
Ma il dato che più ha mostrato gli effetti sull’economia globale della crisi in area Euro è stato quello sulle esportazioni cinesi. In ottobre le esportazioni sono aumentate del 15.9% y/y, in ribasso dal 17.1% di settembre e dal 23% y/y dei primi tre trimestri dell’anno.
Di rilievo è stato il rallentamento delle esportazioni verso l’area Euro (+7.5% y/y) e, soprattutto, la contrazione del 18% y/y di quelle verso l’Italia. Le importazioni, invece, hanno tenuto il passo, con un incremento del 28.7% y/y, riducendo il surplus di bilancia commerciale a USD17bn. Gli economisti di Societè Generale hanno evidenziato come il surplus di bilancia commerciale annuo sia sulla via per scendere dal 3.1% del Pil del 2010 al 2.1% quest’anno, riducendo le pressioni per un ulteriore apprezzamento dello Yuan. Tanto è vero che, come evidenziato in un recente studio da Michael Pettis dell’Università di Pechino, la Banca centrale Cinese è dovuta intervenire recentemente sui mercati non tanto per frenare il rialzo dello Yuan, come da prassi negli ultimi due anni, ma per evitare una sua discesa: gli investitori internazionali non sembrano essere più disposti a puntare su un rialzo della valuta cinese proprio per i segnali di rallentamento economico a livello internazionale.
Il dato sulle esportazioni, infatti, ha rafforzato le attese che l’economia cinese possa andare incontro ad un netto rallentamento nei mesi a venire. Altre conferme in tal senso erano già arrivate in settimana dai dati sulla produzione industriale e sulle vendite al dettaglio relativi al mese di ottobre. La produzione industriale ha visto il proprio tasso di crescita annuo scendere dal 13.8% y/y al 13.2% y/y, con un ulteriore rallentamento atteso nell’ultima parte del 2011 in linea con la discesa del PMI manifatturiero negli ultimi mesi. Le vendite al dettaglio sono scese dal 17.7% y/y al 17.2% y/y.
In questo scenario, e con il rallentamento della crescita che potrebbe accelerare nei prossimi mesi, le pressioni sulle autorità per rendere la politica monetaria più espansiva si potrebbero fare sempre più forti. Tanto più che anche il mercato immobiliare si sta raffreddando in maniera decisa, in linea con il desiderio delle autorità politiche, preoccupate dalle difficoltà di una larga parte della popolazione a comprare una casa per i prezzi elevati. Le vendite di case sono scese del 14% y/y e le costruzioni di nuove case registrano un progresso limitato al 2.2% y/y. Cruciale diventa ora il dato sui prezzi delle case che sarà pubblicato il 18 novembre.
Nel breve, però, attendersi interventi espansivi potrebbe essere prematuro. L’inflazione, infatti, seppure in rallentamento dal 6.1% di settembre al 5.5% m/m in ottobre, rimane ancora ben sopra l’obiettivo del 4% del Governo e con segnali, soprattutto dall’andamento dei prezzi alimentari, che la discesa nei prossimi mesi possa essere molto graduale. Anche la discesa più sostenuta dei prezzi alla produzione (dal 6.5% al 5% y/y) non sembra essere tale da anticipare una dinamica più favorevole dei prezzi al consumo.
È, quindi, probabile che le autorità cinesi, nel tentativo di orchestrare un soft landing del mercato immobiliare dopo il boom degli ultimi anni per la forte espansione del credito, possa decidere di attuare degli interventi di supporto al credito per le piccole imprese, per la costruzione di case pubbliche e di infrastrutture, senza però intervenire per il momento sui tassi o sulle riserve che le banche centrali devono detenere presso la banca centrale.
Il grosso pericolo è che favorire un soft landing del mercato immobiliare è un’operazione mai riuscita a memoria d’uomo. Un crollo del mercato immobiliare, con una conseguente crisi sui mercati finanziari cinesi, è un pericolo da tenere ben presente e di cui abbiamo già parlato in passato. A quel punto anche tagliare i tassi in maniera forsennata potrebbe essere inutile. Per la banca centrale agire in anticipo, con il rischio di aumentare le pressioni inflazionistiche, sembra, quindi, essere la soluzione migliore, anche se non li vede la volontà in tal senso.

giovedì 20 ottobre 2011

Indici di fiducia in primo piano in area Euro

L’attenzione degli investitori è focalizzata in questi giorni sull’esito della riunione dei leader dell’Unione Europea che si terrà domenica 23. Le attese sono che dalla riunione, così come promesso dalla Cancelliera tedesca Merkel e dal presidente francese Sarkozy al termine dell’incontro del 9 ottobre, uscirà un piano concreto per affrontare la crisi del debito nell’area Euro, anche se le possibilità che questo possa effettivamente avvenire sembrano diminuire di giorno in giorno. Stando alle indiscrezioni di stampa, infatti, un accordo tra Francia e Germania sembra sempre più difficile da raggiungere per le diverse posizioni su come dotare il Fondo di Stabilità finanziaria europea di maggiore potere di manovra.
Tuttavia, prima di passare un fine settimana a valutare cosa decideranno le autorità politiche, gli investitori dovranno digerire oggi l’andamento di due importanti indicatori anticipatori sull’andamento delle due principali economie dell’area Euro: l’indice di fiducia delle imprese tedesche IFO e l’indice di fiducia delle imprese Francesi INSEE. Dagli indici sono attese indicazioni sulle prospettive del settore industriale in Germania e Francia negli ultimi mesi del 2011 e nella prima parte del 2012.
Il consensus degli economisti non si aspetta indicazioni confortanti: l’IFO, indice tedesco di maggiore rilievo, dovrebbe scendere da 107.5 a 106.3, minimo da giugno 2010, mentre l’INSEE da 99 a 98, minimo dal luglio 2010. Con riferimento al dato tedesco, un’anticipazione negativa è giunta in settimana dall’andamento dell’indice di fiducia di analisti ed investitori istituzionali Zew, sceso al minimo da fine 2008. Per quanto i due indici non siano sempre perfettamente correlati, il ribasso dello Zew è il segnale di come la crisi del debito dei paesi periferici dell’area Euro potrebbe iniziare a farsi sentire in maniera accentuata anche in Germania, paese che prima dell’estate sembrava crescere senza ostacoli. Qualora le attese di consensus fossero confermate, l’IFO si porterebbe su un valore in linea con una crescita del 5% y/y della produzione industriale nei prossimi 2/3 mesi sulla base della relazione di lungo termine tra l’indice di fiducia delle imprese e la produzione industriale. Un dato da valutare ancora positivamente, seppure in netto ribasso rispetto ai ritmi di crescita intorno al 10% nel corso dell’estate. A preoccupare è che l’indice potrebbe estendere il trend al ribasso nei prossimi mesi. Storicamente, infatti, l’IFO ha mostrato una netta tendenza a muoversi in trend ben definiti, la cui durata media è stata di diciannove mesi. Una discesa per buona parte del 2012, con l’indice che potrebbe scendere sotto quota 100 e spingersi fino a un minimo in area 90/95, valori che segnalerebbero una leggera contrazione su base annua della produzione industriale, è uno scenario da tenere in considerazione.
Ancora più negative dovrebbero essere le anticipazioni per il settore industriale francese provenienti dall’INSEE. L’indice francese, infatti, si porterebbe su un valore in linea con un settore industriale praticamente invariato rispetto all’anno precedente. Il rimbalzo della produzione industriale francese nel mese di agosto (+0.5% m/m e +4.4% y/y) rischierebbe, quindi, di restare un episodio isolato con un indebolimento negli ultimi mesi del 2011 e i primi del 2012 che sembra inevitabile.
I due indici, quindi, pur sottolineando la maggiore forza relativa del settore tedesco rispetto a quello francese, evidenzierebbero come il rallentamento del settore industriale potrebbe proseguire anche nei prossimi mesi nei due maggiori paesi dell'area Euro. In questo scenario, i rischi di recessione per l’economia dell’area Euro dovrebbero continuare a crescere.
Infine, data la forte relazione tra l’andamento dell’IFO e dei mercati finanziari nel corso degli ultimi anni, una prosecuzione del suo trend al ribasso segnalerebbe come i rendimenti dei governativi a 10 anni tedeschi dovrebbero rimanere su valori storicamente bassi ancora a lungo e come lo scenario per il mercato azionario continuerebbe a restare pieno d’incertezze, almeno fino a quando tale trend non si invertirà.

La scommessa della Banca d’Inghilterra sull’inflazione

Le minute della riunione del Comitato di politica monetaria della Bank of England dello scorso 5/6 ottobre, in cui era stato deciso di incrementare il programma di acquisto di asset di 75 miliardi di Sterline portandolo a 275 miliardi, hanno messo ancora di più in risalto il paradosso in cui si trovano le autorità monetarie di Sua Maestà. A fronte di un balzo dell’inflazione al 5.2% y/y in settembre, ben oltre quindi le attese di mercato di un incremento al 4.9% y/y, e di un obiettivo per la Banca Centrale del 2%, la BoE ha deciso di attuare una manovra espansiva per evitare il rischio che l’inflazione possa scendere troppo sotto tale obiettivo al termine del periodo di previsione di due anni. Il rialzo dei prezzi al consumo, che era stato anticipato nella riunione di inizio ottobre, è stato considerato momentaneo e dovuto ad elementi temporanei come l’incremento dell’IVA ed il balzo dei prezzi delle commodities di inizio anno. Anche l’impennata dei prezzi core al 3.3% è considerata momentanea, sebbene giudicata più preoccupante dagli economisti. La tesi dei banchieri centrali è che nel 2012 i prezzi dovrebbero tornare a scendere una volta venuti meno questi fattori a causa della debolezza della domanda interna e dell’elevato livello della capacità produttiva inutilizzata all’interno del sistema economico inglese.
Le minute della riunione hanno evidenziato come l’orientamento all’interno della BoE sia fortemente espansivo. In primo luogo perché alcuni membri hanno evidenziato come sulla base dello scenario economico prevalente anche un intervento più massiccio sarebbe stato giustificabile. L’ipotesi di incrementare il programma di acquisto di asset di 100 miliardi di Sterline è stata presa in considerazione anche se per il momento scartata.
In secondo luogo perché non è stato ritenuto utile neanche aspettare novembre per un intervento, scelta che alla vigilia era considerata la più probabile dal consensus degli economisti, per far sì che il Governatore spiegasse nel corso della conferenza stampa per la presentazione dell’Inflation Report trimestrale il perché della necessità di una nuova politica monetaria espansiva.
Tale orientamento espansivo rafforza le ipotesi di quegli economisti che stimano che la BoE possa ulteriormente intervenire nei prossimi mesi per sostenere la crescita economica. Ad esempio Michael Sunders di Citigroup ha stimato che il programma di acquisto di asset possa essere portato a 500 miliardi di Sterline. In quel caso la Bank of England arriverebbe a detenere i due terzi del debito pubblico britannico. Appare quindi possibile che un eventuale prossimo intervento espansivo possa avere altre categorie di attività, iniziando ad acquistare titoli del settore privato.
Una prosecuzione della fase espansiva nei prossimi mesi appare possibile alla luce delle negative indicazioni provenienti dal fronte macroeconomico nel corso delle ultime settimane. Ad esempio, gli ultimi dati sulla produzione manifatturiera hanno registrato un calo dello 0.3% m/m nel mese di agosto con un progresso rispetto allo stesso periodo dello scorso anno limitato all’1.5%, mentre il tasso di disoccupazione è salito all’8.1%, massimo degli ultimi 17 anni. I dati sulle vendite al dettaglio di settembre che saranno pubblicati oggi dovrebbero evidenziare come la domanda interna rimanga debole, con un incremento dello 0.2% m/m e dello 0.6% y/y. Lo scenario più probabile per l’economia inglese è quello di una debolezza che si dovrebbe protrarre ancora per diversi trimestri. Appare veramente difficile immaginare cosa possa dare una scossa positiva all’economia. Le spese personali dovrebbero continuare a crescere ad un ritmo moderato per la debolezza del mercato del lavoro e per l’opera di riduzione del debito da parte delle famiglie che, secondo i dati contenuti nell’ultimo Financial Stability Report del FMI, ammonta al 101% del Pil. Le spese governative dovrebbero risentire del piano di austerity lanciato dal Governo mentre le esportazioni dovrebbero essere penalizzate dalla crisi del debito in area Euro. Gli investimenti, infine, saranno limitati dall’elevato livello della capacità inutilizzata.
Con la Bank of England che dovrebbe continuare nella propria politica espansiva inondando di liquidità il sistema economico, le maggiori conseguenze dovrebbero essere sentite dalla Sterlina. In tal caso investire in attività denominate nella valuta inglese potrebbe essere quanto mai rischioso. Sebbene la Sterlina sia attualmente leggermente sottovalutata nei confronti sia del Dollaro sia dell’Euro sulla base della Parità del Potere d’Acquisto calcolata dall’OCSE, il suo giusto valore potrebbe allinearsi con le attuali quotazioni, se non addirittura portarsi sotto, nel caso in cui il trend al rialzo dell’inflazione, che l’attuale politica monetaria espansiva potrebbe ulteriormente rafforzare, dovesse proseguire.
In particolare la situazione appare critica con riferimento ai titoli obbligazionari, che offrono in questo momento rendimenti molto contenuti: ad esempio il decennale inglese rende intorno al 2.5% contro il 2.1% di quello tedesco ed il 5.9% di quello italiano. Solo nel caso la crisi del debito in area Euro dovesse peggiorare, con l’effetto contagio per la crisi in Grecia che si propagasse in maniera sempre più forte non solo in Italia e Spagna anche in Belgio e Francia, sarebbero da riconsiderare gli investimenti in Sterline ed in titoli Governativi inglese. Il Regno Unito, infatti, può contare sulla possibilità stampare moneta per evitare un default.
 

sabato 15 ottobre 2011

Il mio ultimo articolo su seekingalpha

Ecco il link al mio articolo su seekingalpha

venerdì 14 ottobre 2011

Produzione industriale in Italia e Francia migliore delle attese

La settimana appena conclusa è stata caratterizzata dall’inatteso rimbalzo della produzione industriale in Italia e Francia nel mese di agosto. In Italia il rimbalzo è stato del 4.3% m/m (le attese di consensus erano per un modesto incremento dello 0.2% m/m), con il tendenziale al 4.7%, mentre in Francia il rimbalzo è stato dello 0.5% m/m (+4.4% y/y) contro attese di consensus di un calo dello 0.5% m/m. L’andamento della produzione in Italia e Francia ha permesso di controbilanciare il calo della produzione tedesca nello stesso periodo (-1% m/m), permettendo al dato totale dell’area Euro di salire dell’1.2% m/m e del 5.3% y/y. Sfortunatamente i progressi del settore industriale dovrebbero essere temporanei, con gli indici di fiducia delle imprese che anticipano un forte rallentamento nei prossimi mesi.

Per altri commenti economici sottoscrivi una prova di un mese del Top Down Outlook

martedì 11 ottobre 2011

La stagione delle trimestrali in USA

Ecco il mio ultimo articolo su seekingalpha sulla stagione delle trimestrali in USA.

giovedì 6 ottobre 2011

Mercato del lavoro USA: possibili sorprese negative

Al termine di una settimana in cui i dati macroeconomici pubblicati negli USA sono stati generalmente migliori delle attese, con l’inaspettato rialzo dell’ISM manifatturiero di settembre che ha dato le indicazioni più confortanti, l’attenzione degli investitori si focalizzerà oggi sulla pubblicazione del rapporto sul mercato del lavoro di settembre. La mancanza di un miglioramento consistente del quadro occupazionale è stata uno dei punti critici della ripresa economica iniziata nel giugno ’09 – degli oltre otto milioni e mezzo di posti di lavoro persi nel corso della recessione ne sono stati recuperati finora solo 1.8 milioni – e la preoccupazione degli investitori è che questo possa pesare sull’andamento delle spese personali nei mesi a venire.
Il dato di agosto ha aumentato i timori che il mercato del lavoro possa non solo non migliorare ma addirittura peggiorare nel breve: il numero di posti di lavoro creati è stato pari a 0, anche se sul dato ha avuto un impatto negativo lo sciopero dei dipendenti di Verizon, pari a circa 50 mila, che sono stati conteggiati come disoccupati.
I dati sinora pubblicati con riferimento al mese di agosto hanno evidenziato come un forte rimbalzo potrebbe non essere imminente. Ad esempio, le richieste di sussidi di disoccupazione, pur essendo scese nella settimana sino al 24 settembre al minimo da aprile, in media si sono attestate in settembre a 417 mila settimanali, contro le 411 mila di agosto. L’indicazione più negativa è arrivata dall’inaspettato ribasso della voce occupazione all’interno dell’ISM non-manifatturiero sotto la soglia di 50 per la prima volta dall’agosto 2010. Tale indice ha dimostrato in passato di essere molto correlato con l’andamento del numero di posti di lavoro creati e la sua discesa a 48.7 in settembre sarebbe in linea con un calo di 22 mila posti di lavoro nel periodo di riferimento contro una stima di consensus di un rialzo di 90 mila. Il rimbalzo della voce occupazione all’interno dell’ISM manifatturiero di settembre da 51.8 a 53.8 contribuisce solo in parte a smorzare i timori di una forte sorpresa negativa al momento della pubblicazione del dato di oggi: gli impiegati nel settore manifatturiero sono, infatti, meno del 9% del totale degli occupati: anche un loro forte rimbalzo, che comunque appare improbabile alla luce dei timori sulle prospettive dell’economia mondiale emersi nel corso dell’estate, non sarebbe in grado di compensare una debolezza nel settore dei servizi. Quindi, nonostante l’ADP employment report abbia stimato che il settore privato potrebbe avere creato in settembre 90 mila posti di lavoro, le possibilità di una sorpresa negativa sembrano essere elevate. In tal caso la reazione dei mercati potrebbe essere molto negativa, considerando l’ottimismo con cui i mercati avevano accolto negli ultimi giorni le ipotesi di una possibile risoluzione della crisi del debito nei paesi periferici dell’area Euro e che lo scenario economico statunitense possa essere migliore di quanto atteso in precedenza.
Anche nel medio periodo le prospettive del mercato del lavoro non sono particolarmente incoraggianti. Il terzo rialzo consecutivo della voce job hard to get all’interno dell’indice di fiducia dei consumatori del Conference Board, salita al massimo da maggio ’83, è il segnale di come i consumatori vedano peggiorare le condizioni sul mercato del lavoro. In queste circostanze stimare un calo sostenuto del tasso di disoccupazione, al 9.1% in agosto, nei prossimi mesi appare utopistico.
Ulteriore indicazione negativa è arrivata dalla pubblicazione sui licenziamenti di massa registrati dalla società statunitense Challenger, Gray and Christmas. Questi sono aumentati a 115 mila nel mese di settembre a causa principalmente della programmata riduzione del numero dei militari e del taglio del personale annunciato da Bank of America. Quest’ondata di licenziamenti, pur essendo considerata positiva da alcuni economisti perché porterebbe a ridurre il numero dei dipendenti pubblici e di conseguenza il peso dello stato sull’economia, dovrebbe avere un impatto negativo sul mercato del lavoro.
I segnali di rallentamento economico giunti negli ultimi mesi sono un ulteriore segnale di come il mercato del lavoro difficilmente possa crescere ad un ritmo tale da portare ad una diminuzione del tasso di disoccupazione in maniera stabile. Anche il piano per il lavoro recentemente presentato dal Presidente Obama, che deve tra l’altro ancora essere approvato dal Congresso, può limitare un peggioramento del quadro occupazionale ma difficilmente dovrebbe portare ad un miglioramento consistente considerando che si tratta principalmente della conferma di alcune misure che sarebbero altrimenti scadute nei prossimi mesi.
Dal mercato del lavoro, quindi, non sono attese notizie positive ancora per molto tempo.

mercoledì 5 ottobre 2011

PMI servizi sotto 50 in area Euro: aumentano i rischi di recessione

I PMI servizi di settembre pubblicati oggi sono stati inferiori alle attese, segnalando che il peggioramento delle prospettive economiche nei prossimi mesi potrebbe essere ancora più forte di quanto atteso. Il PMI servizi dell'intera area Euro è sceso da 51.5 a 48.8 - con un'ulteriore revisione al ribasso rispetto alla stima flash di 49.1 - il livello più basso dall'agosto '09. L'indice si è posizionato sotto 50, anticipando una contrazione del comparto, sia in Germania sia in Italia mentre è rimasto sopra tale soglia in Francia. Il calo dell'indice sotto 50 in Germania è un segnale che le spese per consumi potrebbero indebolirsi ulteriormente nei prossimi mesi, riducendo le aspettative che un miglioramento della domanda interna possa sostenere l'attività economica e controbilanciare il possibile indebolimento delle esportazioni. Il dato sui PMI servizi aumenta le possibilità che l'area Euro possa entrare in recessione nell'ultimo trimestre dell'anno.

venerdì 23 settembre 2011

La Bank of England è pronta ad intervenire

Dopo che il Comitato di Politica monetaria della Bank of England aveva deciso al termine della riunione dell’8 settembre di lasciare inalterato sia i tassi allo 0.5% sia il programma di acquisto di asset a GBP200bn, la pubblicazione delle minute prevista ieri era attesa da analisti ed investitori con impazienza per capire quali potrebbero essere le prossime mosse di politica monetaria. Dalle minute è chiaramente emerso come un ulteriore intervento di politica monetaria espansiva sia praticamente certo, pur rimanendo delle incertezze sulla sua tempistica. I membri del Comitato di politica monetaria hanno evidenziato come “sia sempre più probabile che ulteriori acquisti di asset siano necessari prima o poi per rendere più espansiva la politica monetaria”. A giustificare un nuovo intervento espansivo è il peggioramento del quadro economico nel corso delle ultime settimane. Il Fondo monetario internazionale, ad esempio, ha rivisto al ribasso le proprie stime sulla crescita economica inglese nel suo World Economic Outlook di settembre all’1.1% nel 2011 e all’1.6% nel 2012 rispetto all’1.5% e al 2.3% rispettivamente che erano stati stimati solo lo scorso mese di giugno. Con la politica fiscale che dovrebbe restare restrittiva, come evidenziato dalla volontà del Governo Cameron di continuare nel suo piano di austerity nonostante il rallentamento economico, solo la politica monetaria potrebbe fornire uno stimolo all’economia nei prossimi mesi.
A frenare un intervento già nella riunione di settembre è stato l’elevato livello dell’inflazione. In agosto l’inflazione si è attestata al 4.5% y/y, più del doppio rispetto all’obiettivo del 2% della BoE, ed un incremento fino al 5% è atteso nei prossimi mesi a causa dell’andamento dei prezzi nel settore delle utility. Tuttavia una frenata delle pressioni inflazionistiche sembra molto probabile nel 2012, con una discesa verso l’obiettivo della Banca Centrale che è considerato quasi certo da parte degli osservatori. L’inflazione, salita principalmente per l’incremento dell’IVA e per il balzo dei prezzi del petrolio degli scorsi mesi, potrebbe scendere non solo per il venire meno di un effetto confronto sfavorevole ma anche per le conseguenze di una crescita economica che le autorità monetarie inglesi prevedono sarà più debole di quello che era stato preventivato solo lo scorso mese di agosto. I membri del Comitato di politica monetaria hanno, però, giudicato conveniente aspettare per valutare l’evoluzione del quadro economico, incluse le prossime mosse delle autorità straniere pur sottolineando come i rischi al ribasso sull’inflazione siano notevolmente aumentati nelle ultime settimane.
Solo Adam Posen, come avviene regolarmente dalla riunione di ottobre ‘10, ha votato a favore di un incremento del programma di acquisto di asset di GBP50bn.
Proprio un incremento del programma di acquisto di asset appare la misura che più facilmente possa essere implementata. I membri del comitato, infatti, hanno analizzato anche misure alternative quali un’ulteriore riduzione dei tassi, l’impegno a mantenerli bassi per un determinato periodo temporale o un incremento della duration di portafoglio, concludendo che nessuno avrebbe un impatto sull’economia maggiore rispetto alla prima alternativa.
Il programma di acquisto di asset ha, del resto, avuto dei risultati brillanti secondo uno studio della Bank of England. Nel proprio bollettino trimestrale pubblicato lo scorso lunedì, la BoE ha evidenziato come il programma di acquisto di asset iniziato a marzo 2009 e concluso all’inizio del 2010 possa avere un impatto positivo sul Pil pari all’1.5%/2%, un risultato equivalente ad un taglio dei tassi pari a 150/300 punti base.
Quello che le minute non hanno specificato è la tempistica con cui un nuovo intervento espansivo possa essere deciso. L’indicazione di alcuni membri secondo cui una continuazione delle condizioni viste nell’ultimo mese potrebbero essere sufficienti per un’espansione della politica monetaria, è il segnale che questa potrebbe essere decisa prima della fine dell’anno. Novembre, in coincidenza con la pubblicazione del nuovo Inflation Report trimestrale, è considerata la data più probabile dagli economisti che ritengono elevate le possibilità di un intervento a breve. In tale occasione, infatti, la Bank of England potrebbe rivedere al ribasso in maniera sostanziale le proprie stime su crescita economica ed inflazione, giustificando un nuovo intervento espansivo. Possibile, anche se meno probabile, è l’alternativa che un intervento possa essere deciso già in ottobre.
Tuttavia, con alcuni membri del Comitato che hanno sottolineato come sia necessario evitare il rischio di fare aumentare le aspettative sull’inflazione, con riflessi al rialzo sulla dinamica dei salari, i prossimi dati sull’inflazione saranno di fondamentale importanza. Nel caso in cui questi dovessero ancora una volta sorprendere negativamente, l’alleggerimento della politica monetaria potrebbe essere rimandato al 2012. Il rischio che questo, favorendo un indebolimento della Sterlina, possa ulteriormente aumentare le pressioni inflazionistiche sarebbe troppo alto per essere corso nel breve.

mercoledì 14 settembre 2011

Il mio ultimo articolo su seekingalpha

Questo è il link al mio ultimo articolo su seekingalpha.

martedì 13 settembre 2011

Inflazione ostacolo alle politiche espansive

È convinzione ormai comune a tutti gli investitori ed esperti di mercato che il rallentamento delle principali economie internazionali porterà nei prossimi mesi ad un aumento delle politiche monetarie espansive da parte delle maggiori banche centrali internazionali. Gli economisti considerano sicuro un nuovo allentamento quantitativo in USA (il cosiddetto QE3) ed in UK (QE2), mentre la BCE è attesa tagliare i tassi nei prossimi mesi per riportarli almeno all’1%, livello precedente ai due rialzi dei tassi dello 0.25% decisi nel 2011.
Più incerta è la tempistica con cui questi interventi potrebbero essere decisi. Se, infatti, un intervento espansivo da parte della Fed è considerato possibile, se non molto probabile, già nel corso della riunione del Fomc in calendario settimana prossima (martedì 20 e mercoledì 21), più difficile è immaginare quando BCE e BoE possano intervenire.
A condizionare le scelte di politica monetaria potrebbe essere l’andamento dell’inflazione. Per quanto un rallentamento nel corso del 2012 sia proiettato sia dalla BCE sia dalla BoE, la sua dinamica nel breve periodo potrebbe essere maggiore delle attese, frenando gli interventi espansivi. Un’indicazione in tale senso è giunta dal dato sull’inflazione inglese nel mese di agosto, che ha visto un’accelerazione dal 4.4% del mese precedente al 4.5% y/y. Il rialzo è stato in linea con le attese di consensus, ma l’andamento delle singole voci del dato ha sorpreso gli economisti. Le tariffe energetiche, infatti, hanno contribuito meno delle attese all’incremento del dato generale, mentre abbigliamento e arredamento sono saliti al ritmo più elevato dal 1997. L’incremento delle tariffe energetiche potrebbe pesare sul dato nei prossimi mesi, spingendo il tendenziale sopra il 5% prima di un calo nella prima parte del prossimo anno grazie al venire meno dell’effetto confronto negativo per il rialzo dell’IVA entrato in vigore dal gennaio ’11.
Con un’inflazione superiore più del doppio rispetto all’obiettivo del 2%, la BoE potrebbe avere bisogno di segnali più concreti di un venire meno delle pressioni inflazionistiche o di una contrazione più forte dell’economia prima di poter intervenire in senso espansivo: un QE2 in Inghilterra, dunque, sempre improbabile prima del 2012. Il richiamo di ieri di Adam Posen, l’unico membro del Comitato di politica monetaria della BoE a votare a favore di un’espansione del programma di allentamento quantitativo sin dall’ottobre ‘10, sulla necessità di incrementare di GBP100bn il programma di acquisto di asset dovrebbe, così, cadere nel vuoto ancora per qualche mese.
Allo stesso modo anche per la BCE potrebbe essere difficile giustificare un taglio dei tassi prima del 2012 agli occhi dei politici del blocco Nord dell’area Euro, seguaci di una politica monetaria concentrata solo sul contenimento dell’inflazione, ancora più che al mercato. Il finale sui prezzi al consumo di agosto che sarà pubblicato giovedì 15 dovrebbe vedere confermato il 2.5% y/y della stima flash, anche se c’è il pericolo di una revisione al rialzo al 2.6% a seguito del balzo dell’inflazione francese al 2.5% y/y, massimo degli ultimi 3 anni.
A favorire un taglio dei tassi della BCE prima della fine dell’anno potrebbe essere la dinamica dell’inflazione core: se, infatti, in UK il CPI core è sopra il 3% y/y, in area Euro si dovrebbe mantenere stabile all’1.2% y/y in agosto. Tuttavia, con il focus delle autorità di monetarie di Francoforte sull’inflazione generale e con un cambio della guardia al comando della BCE ormai prossimo, un taglio dei tassi prima del 2012 sembra improbabile.
Ma è soprattutto in USA che i dati sull’inflazione che saranno pubblicati in settimana potrebbero cambiare le prospettive di politica monetaria nel breve. Nei suoi ultimi interventi, infatti, Bernanke ha sempre evidenziato come la maggiore differenza con agosto dello scorso anno, quando il QE2 fu annunciato, sia un livello d’inflazione decisamente più alto: in luglio il CPI si è attestato al 3.6% ed il CPI core all’1.8% contro l’1.2% e lo 0.9% rispettivamente dello scorso anno. I dati di agosto che saranno pubblicati giovedì dovrebbero vedere, sulla base delle stime di consensus, il CPI rimanere stabile al 3.6% y/y, con il CPI core dall’1.8% y/y all’1.9% y/y. In caso si sorprese negative, sulla falsariga del dato sui prezzi all’importazione pubblicati ieri che hanno visto un calo limitato allo 0,4% m/m contro attese di -0.8% m/m, le possibilità di un intervento espansivo già la prossima settimana da parte della Fed diminuirebbero. Con il balzo dei prezzi delle commodity che è considerato uno dei principali effetti del QE2, la Fed non dovrebbe correre il rischio di vedere le pressioni inflazionistiche aumentare ulteriormente nel breve a causa delle proprie mosse. Solo conferme del venire meno delle spinte al rialzo dell’inflazione potrebbero portare la Fed ad aumentare il proprio sostegno all’economia.

giovedì 8 settembre 2011

BCE pronta a tagliare, ma non ora

BCE pronta a tagliare i tassi, ma non subito. Questo è il messaggio emerso dalla conferenza stampa che il presidente Trichet ha tenuto ieri al termine dell’incontro di politica monetaria del Consiglio direttivo. Nel suo discorso introduttivo, infatti, Trichet ha evidenziato come le prospettive dell’economia dell’area Euro siano peggiorate nel corso delle ultime settimane, sottolineando come la crescita economica dovrebbe essere moderata nei prossimi trimestri, con le incertezze aumentate in maniera notevole ed i rischi al ribasso. Tali maggiori incertezze sono state evidenziate dalla netta revisione al ribasso delle stime dell’Eurostaff sulla crescita del Pil del 2012: mentre in giugno la crescita era attesa assestarsi all’1.7% l’anno prossimo, ora è attesa all’1.3%. Quello che più salta all’occhio è che qualora la crescita economica dovesse portarsi nella parte bassa della forchetta di previsione (0.4%), l’economia si troverebbe ad un passo dalla recessione.
Trichet ha, però, anche ribadito come l’inflazione, al 2.5% in agosto sulla base della stima flash, rimanga ben sopra il proprio obiettivo di vicino ma sotto il 2% e come questa situazione dovrebbe perdurare anche nei prossimi mesi. Solo nel 2012 l’inflazione dovrebbe tornare sotto questa soglia, in linea con l’atteso calo dei prezzi del petrolio. Contrariamente alle nostre aspettative, però, l’Eurostaff non ha rivisto al ribasso la propria stima sulla crescita dei prezzi al consumo nel 2012, lasciandola invariata all’1.7%: un segnale di come il rallentamento economico non dovrebbe avere effetti immediati sull’andamento dei prezzi. Un segnale importante, però, è arrivato dalla revisione delle prospettive dell’inflazione: mentre fino ad agosto i rischi sui prezzi erano considerati al rialzo, ora Trichet ha dichiarato che i rischi sono bilanciati. Quest’ultimo può essere considerato un primo passo nell’aprire le porte ad un taglio dei tassi.
Il permanere dell’inflazione sopra il 2% nei prossimi mesi e le attese di un’inflazione resistente nonostante il rallentamento dell’economia dovrebbero costituire un freno alla politica espansiva della BCE negli ultimi mesi del 2011: un taglio dei tassi, quindi, non dovrebbe essere deciso prima dell’inizio del 2012. In realtà nulla di nuovo per i mercati, con i futures sul tasso Euribor che continuano a non ritenere probabile un taglio dei tassi quest’anno ma a scontare come sicuro un ritorno dei tassi all1% entro la fine del primo semestre del 2012. Questo a patto che le banche centrali non decidano di sorprendere i mercati nel corso del fine settimana: il report di una famosa casa d’investimento internazionale ha lasciato trapelare che le quattro maggiori banche centrali internazionali – Fed, BCE, BoE e BoJ – possano attuare un intervento coordinati al termine del riunione del G7 di fine settimana, contribuendo a dare slancio ai mercati ieri e a spingere all’insù il prezzo dell’oro.
La reazione più immediata sui mercati al cambiamento di orientamento della BCE sulla dinamica dell’inflazione è stato il calo dell’Euro nei confronti del Dollaro, con gli investitori che hanno scontato un differenziale dei tassi di interesse meno favorevole alla valuta unica europea, mentre i mercati finanziari hanno annullato i guadagni della mattinata, prima di tornare a recuperare grazie all’apertura positiva di Wall Street, più per il balzo delle richieste di sussidi di disoccupazione in USA che per le parole di Trichet.
Come da copione, Trichet ha ribadito l’importanza di risanare i conti e di rilanciare la crescita per quei paesi più coinvolti nella crisi del debito, pur non dando alcuna indicazione sul programma di acquisto di asset. Con riferimento all’Italia, Trichet ha evidenziato che, con l'approvazione della manovra di bilancio in Senato, il governo italiano ha confermato l'impegno di risanamento preso a inizio agosto e che è molto importante che l'Italia stia mettendo in atto quanto annunciato. Trichet ha anche sottolineato come la BCE non abbia imposto alcuna misura all’Italia.
Infine la BCE, sotto accusa da parte di molti politici ed economisti per i suoi interventi sul mercato dei bond, si è difesa tramite le parole di Trichet dichiarando di essere di essere indipendente e per questo di prendere anche decisioni che possono non piacere ai Governi. Trichet ha detto che “La decisione di comprare titoli di stato nel mercato secondario è legata al miglioramento dei meccanismi di trasmissione della politica monetaria” e ha concluso con una stilettata: “Mi aspetto che tutte le altre autorità, governi nazionali compresi, siano capaci di assumersi pienamente le loro responsabilità''.

mercoledì 7 settembre 2011

Banca Centrale Europea e Banca d'Inghilterra pronte a politiche espansive

Con i segnali di rallentamento economico a livello internazionale che si fanno sempre più profondi, investitori ed economisti si aspettano che ben presto anche la Banca Centrale Europea e quella Inglese possano intervenire per cercare di rilanciare la crescita. Le riunioni di entrambe le banche centrali che si terranno oggi, però, ben difficilmente vedranno interventi di politica monetaria espansiva. La BCE dovrebbe, infatti, tenere i tassi fermi all’1.5% e confermare gli interventi di sostegno alla liquidità delle banche che erano stati annunciati lo scorso mese di agosto mentre la BoE dovrebbe mantenere i tassi allo 0.5% ed il programma di acquisto di asset a GBP200bn. Con un’inflazione ancora ben sopra i livelli di guardia per le due banche centrali – al 2.5% y/y in area Euro e al 4.4% y/y in UK – immaginare un’estensione della politica monetaria espansiva da parte delle due banche centrali sembra azzardato.
Tuttavia le cose potrebbero cambiare nei prossimi mesi, man mano che le pressioni inflazionistiche diminuiranno e che i segnali di rallentamento economico dovrebbero intensificarsi. Ad esempio i tassi futures sull’Euribor scontano come praticamente certo un ritorno dei tassi all’1% entro la fine del primo semestre del prossimo anno con possibilità, anche se limitate, che sono assegnate ad un taglio dei tassi entro la fine dell’anno. La BCE, del resto, tramite il proprio presidente Trichet potrebbe annunciare già nella conferenza stampa di oggi come l’orientamento della politica monetaria sia cambiato. I rischi con riferimento allo scenario dell’inflazione, proprio per il sempre più probabile rallentamento dell’economia dell’area Euro nei prossimi mesi, potrebbero non essere più considerati al rialzo, mentre le prospettive sulla crescita economica potrebbero essere considerate sempre più incerte. La BCE, quindi, potrebbe rivedere al ribasso le proprie stime rispetto allo scorso mese di giugno sia sulla crescita economica sia sull’inflazione. In particolare, se la BCE stimava tre mesi fa un tasso di espansione dell’1.7% e un’inflazione all’1.7%, ora potrebbe portare la propria proiezione sulla crescita del Pil a poco più dell’1% e quella sull’inflazione all’1.5%. Le stime sul 2011 (Pil all’1.9% e inflazione al 2.6%), invece, dovrebbero essere riviste all’ingiù in maniera minima.
Trichet non dovrebbe fornire particolari indicazioni sul programma di acquisto di titoli governativi sul mercato, anche se dovrebbe ribadire come questo sia temporaneo e come i governi dei paesi più coinvolti nella crisi del debito si debbano impegnare per riportare i conti in ordine. Un monito che, alla luce di quanto l’andamento dei rendimenti dei Governativi di paesi quali Italia e Spagna sia dipendente dagli acquisti della Banca Centrale, andrebbe ascoltato con attenzione per non correre il rischio, come dimostrato dall’Italia in settimana, di rivedere un forte rialzo dei rendimenti.
In UK, invece, oggi non sono attesi annunci importanti, con solo le minute della riunione che saranno diffuse il prossimo 21 settembre che evidenzieranno gli orientamenti di politica monetaria dei membri del Consiglio Direttivo. Tuttavia, per quanto la maggior parte degli economisti ritenga molto probabile un ampliamento del programma di acquisto di asset nei prossimi mesi, la BoE non dovrebbe dare indicazioni che questa possa avvenire nel breve. L’inflazione, infatti, rimane ben sopra il target della Banca Centrale e solo i primi segnali di un suo ritorno sotto la soglia del 3% y/y potrebbe dare il via libera alle autorità monetarie.
In un’ottica di medio periodo, però, un nuovo intervento espansivo sembra inevitabile, considerando quanto l’economia inglese potrebbe risentire del rallentamento dell’area Euro. Un chiaro segnale in tal senso è arrivato ieri dall’andamento della produzione industriale nel mese di luglio, scesa dello 0.2% m/m contro attese di un dato invariato. Anche la produzione manifatturiera si è confermata debole, con un incremento limitato allo 0.1% m/m. In questo scenario la BoE dovrebbe impedire che una manovra espansiva da parte della BCE possa rafforzare la Sterlina contro l’Euro. In coincidenza di un taglio dei tassi da parte della BCE, quindi, anche la BoE dovrebbe premere l’acceleratore sulla leva monetaria.
Sul fronte interno, inoltre, continua il trend negativo dei prezzi delle case, situazione che a sua volta dovrebbe favorire una maggiore politica espansiva. I dati di Halifax hanno evidenziato come i prezzi delle case siano scesi in Agosto dell’1.2% m/m, primo ribasso negli ultimi quattro mesi, e del 3.9% y/y. Fino a quando i prezzi delle case rimarranno in un trend negativo, infatti, difficilmente si potrà vedere una ripresa sostenuta dei consumi interni.

martedì 6 settembre 2011

La Banca Centrale Svizzera frena la corsa del Franco

“La Banca Centrale Svizzera ha tracciato una linea nella sabbia”. Così molti esperti di mercato hanno commentato l’annuncio della Banca Centrale Svizzera di non volere più tollerare un tasso di cambio Euro/Franco Svizzero sotto la soglia di 1.20. Non a caso il Franco ha immediatamente guadagnato oltre l’8% nei confronti dell’Euro portandosi sopra tale quota.
L’affermazione della SNB secondo cui è pronta a comprare una quantità illimitata di valuta estera per raggiungere il proprio obiettivo dovrebbe fare sì che nel breve la valuta difficilmente dovrebbe scendere sotto questo livello.
La Banca centrale svizzera si é vista costretta ad intervenire in maniera massiccia sui mercati dopo che le azioni precedenti decise nel mese di agosto avevano avuto un impatto solo temporaneo sul Franco Svizzero: dopo essere salito da un minimo a 1,02 di inizio agosto a quasi 1,20 a fine agosto, la valuta elvetica era tornata a scendere nelle prime sedute di settembre portandosi ad un passo dalla soglia di 1,1. Lo scorso 3 agosto la SNB aveva comunicato di aver ridotto la forchetta del Libor dallo 0-0,75% allo 0-0,25%, il 10 era stato deciso di incrementare la liquidità sul mercato monetario portando i depositi a vista da 80 a 120 miliardi di franchi svizzeri ed il 17 agosto l’asticella era stata ulteriormente innalzata a 200 miliardi.
A pensare male, che, come ci ha insegnato qualcuno, sì fa peccato ma ci si azzecca quasi sempre, la SNB non ha potuto aspettare la riunione di politica monetaria in calendario giovedì 15 perché pressata dal governo federale: il ministro dell’economia svizzera Johann Schneider Ammann aveva invitato lunedì le autorità monetarie a fare qualcosa per bloccare l’ascesa del Franco.
Tuttavia a preoccupare le autorità monetarie sono anche stati i dati economici pubblicati nelle ultime settimane, in particolare l’ultimo dato sull’inflazione diffuso ieri poco prima dell’annuncio della decisione della Banca centrale. L’inflazione è sorprendentemente scesa nel mese di agosto dello 0.2% m/m contro attese di consensus a +0.3% m/m, con la variazione annua allo 0.2%, in discesa dallo 0.5% del mese precedente. Tali dati hanno aumentato i timori che l’economia svizzera possa entrare in deflazione nei prossimi mesi, tanto più che l’inflazione core è allo 0% y/y.
Negativi erano stati anche gli ultimi dati economici. Più che la discesa nel secondo trimestre del tasso di crescita del Pil al minimo da inizio del 2010, a preoccupare è stato il ribasso dell’indice KOF al minimo dal settembre 2009, segnale di come il ciclo economico potrebbe subire una forte battuta d’arresto nei prossimi mesi.
La mossa della SNB potrebbe, così, dare ora fiato alle società esportatrici, i cui margini sono scesi in maniera preoccupante negli ultimi mesi a causa del rialzo della valuta e le cui prospettive erano già peggiorate a causa dei segnali di rallentamento provenienti dal ciclo economico dell’area Euro.
Non a caso il mercato azionario elvetico ha festeggiato la decisione della SNB con un rialzo superiore al 3% guidato da società quali Swatch e Richemont che realizzano la maggior parte del proprio fatturato fuori dai confini svizzeri.
Tuttavia, se la decisione della SNB di tenere il franco svizzero sopra 1.2 contro l’euro dovrebbe essere un successo nei prossimi mesi, più incerta è la sua riuscita nel medio periodo. In primo luogo perché il destino del cambio Euro/Franco dipenderà principalmente dai fondamentali della valuta unica europea, che adesso non sembrano dei migliori considerando che la crisi del debito dei paesi periferici è lontana dall’essersi conclusa a causa delle incertezze su come risolverla da parte dei Governi. In secondo luogo per l’azione della Banca centrale svizzera potrebbe essere meno forte di quanto le autorità monetarie svizzere vogliono fare credere. La SNB, infatti, si era vista costretta a interrompere gi interventi nel giugno del 2010 dopo che questi si erano rivelati poco efficaci ed avevano incrementato a dismisura la quota di valuta estera tra i propri asset. Questo sta già esponendo la banca centrale a delle forti perdite poiché le riserve sono contabilizzate con il metodo del mark to market: nel 2010 la SNB ha perso oltre 20 miliardi di dollari e nel 2011 le perdite sono già ammontate a 10 miliardi. Per quanto una soluzione tampone a tale problema potrebbe essere trovata, come evidenziato dagli economisti di Deutsche Bank, sospendendo il mark to market o spostando le riserve valutarie al di fuori dei conti della Banca Centrale, solo un’inversione duratura del trend del Franco risolverebbe il problema dei conti della banca.
Inoltre, nel caso la SNB dovesse immettere una forte quantità di liquidità sul mercato per ottenere il proprio obiettivo, l’inflazione potrebbe crescere più di quanto desiderato. In tal caso per la Banca centrale sarebbe impossibile alzare i tassi e difendere un livello della valuta contemporaneamente.
Un problema che non si dovrebbe presentare nel breve, ma che fa sì che tra qualche mese scommettere sul Franco potrebbe tornare interessante.

giovedì 1 settembre 2011

ISM manifatturiero migliore delle attese

Nel nostro articolo di ieri "ISM manifatturiero e mercato del lavoro. Inizio settembre da brivi per l'economia USA" avevamo evidenziato come le attese per l'ISM manifatturiero fossero negative, con l'indice atteso scendere sotto la soglia di 50 per la prima volta dal luglio 2009. Il dato ufficiale, invece, è stato migliore delle attese rimanendo sopra la soglia di 50, segnalando che la crescita del settore industriale dovrebbe proseguire nel corso dei prossimi mesi. L'andamento delle singole voci all'interno del sondaggio ha visto i nuovi ordini rimane sotto la soglia di 50 (49.6), la produzione scendere a 48.6 e l'occupazione rimanese sopra 50 (51.8). Il focus è ora sul mercato del lavoro in calendario domani. 


mercoledì 31 agosto 2011

ISM manifatturiero e mercato del lavoro. Inizio settembre da brivi per l'economia USA

È stato un mese di agosto pieno di preoccupazioni per l’economia e i mercati finanziari statunitensi che sono stati in balia delle discussioni al Congresso per l’incremento della soglia del debito pubblico, del downgrade di Standard & Poor’s e dei primi segnali di rallentamento del ciclo economico.
Anche l’inizio di settembre non promette di essere di relax per gli investitori: nei primi due giorni del mese la pubblicazione dell’indice di fiducia delle imprese ISM manifatturiero, in calendario oggi, e del rapporto sul mercato del lavoro di agosto, domani, sono attesi dare indicazioni molto importanti sulle prospettive dell’economia a stelle e strisce da qui a fine anno, se non oltre.
Le maggiori indicazioni negative dovrebbero arrivare dall’ISM manifatturiero. In linea con l’andamento degli indici di fiducia delle imprese a livello regionale sinora pubblicati nel corso del mese, tutti risultati peggiori delle attese di consensus con l’eccezione del Chicago PMI, il maggiore indice di fiducia a livello nazionale dovrebbe registrare una contrazione da 50.9 a 48.5, scendendo sotto la soglia di 50 che demarca espansione da recessione per la prima volta dal luglio 2009.
L’indice segnalerebbe, così, una contrazione del settore manifatturiero nei prossimi 2/3 mesi, anche se per indicare una recessione sarebbe necessaria una contrazione ancora maggiore. Sulla base delle stime dell’Institute of Supply Management che prepara l’indice, solo una discesa sotto 42.5 ha storicamente portato ad una recessione dell’intera economia statunitense.
Una prosecuzione del trend al ribasso dell’ISM – a febbraio l’indice si trovava a 61.4 – avrebbe delle negative conseguenze sull’andamento sia del mercato obbligazionario che di quello azionario. Una discesa della fiducia delle imprese, infatti, è stata storicamente associata a performance negative del mercato azionario e ad un ribasso dei rendimenti obbligazionari. Con il calo dell’indice che potrebbe proseguire anche nei mesi a venire, in linea con la sua tendenza a muoversi in trend ben definiti, le premesse per i mercati finanziari non sarebbero positive.




Notizie confortanti non sono attese neanche con riferimento all’andamento del mercato del lavoro. In agosto il numero di posti di lavoro creati secondo le stime di consensus dovrebbe essere di 75 mila, un valore inferiore ai 117 mila di luglio e non in grado di portare ad un miglioramento sostanziale del quadro occupazionale. Il dato sarebbe in linea con l’andamento delle richieste settimanali di sussidi di disoccupazione, rimaste sopra la soglia critica delle 400 mila unità nelle ultime settimane. Il tasso di disoccupazione dovrebbe, così, restare invariato al 9.1%, mentre il tasso di partecipazione dovrebbe restare sotto la soglia del 64% segnalando come una fetta sempre maggiore di popolazione stia rinunciando a cercare un’occupazione.
Quel che è più preoccupante è che anche le prospettive di medio periodo del mercato del lavoro restano deboli. Un segnale negativo è giunto dall’andamento della voce job hard to get all’interno dell’indice di fiducia dei consumatori del Conference Board pubblicato martedì 30: l’indice è salito da 44.1 a 49.1, il valore più alto da novembre 2009, evidenziando come i consumatori vedano un peggioramento del mercato del lavoro nel breve.
A pesare sulle prospettive del quadro occupazionale è anche il rallentamento dell’economia USA. La crescita annua del Pil reale, infatti, anticipa l’andamento del mercato del lavoro di un trimestre. Con il tasso di crescita in netto indebolimento in Q2 (il dato rivisto pubblicato la scorsa settimana ha evidenziato una crescita limitata all’1.5% y/y) appare utopistico attendersi un miglioramento del mercato del lavoro nel breve.
La debolezza del mercato del lavoro potrebbe pesare sull’andamento delle spese personali, da cui dipende oltre il 70% del Pil, nei prossimi trimestri. Con il processo di deleveraging ancora ben lontano dall’essere finito, il ribasso dei prezzi delle case che ha colpito la ricchezza delle famiglie, il potere d’acquisto fiaccato dal balzo dell’inflazione e la crescita del reddito disponibile penalizzata dalla debole creazione di posti di lavoro è difficile immaginare che le spese personali possano tornare a crescere al ritmo pre-crisi nel breve. Un motivo in più per attendersi una crescita contenuta dell’economia statunitense nei trimestri a venire.

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martedì 30 agosto 2011

Povero Robinson Crusoe!

Vi segnalo questo bellissimo post tratto da finanza.com: "Le iperboli capitalistiche e le parabole finanziarie di Robinson Crusoe"


Fiducia dei consumatori americani in picchiata. Segnale negativo per le spese personali

Nel blog di ieri “Mai puntare contro il consumatore statunitense?” avevamo segnalato come le spese personali statunitensi nel mese di luglio avessero sorpreso positivamente registrando un rialzo dello 0.8% m/m. L’entusiasmo generato da tale dato è stato immediatamente smorzato oggi dalla pubblicazione dell’indice di fiducia dei consumatori del Conference Board di agosto: l’indice è sceso da 59.2 a 44.5, il valore più basso dall’aprile ’09. Le attese di consensus erano per un calo a 52.5. Particolarmente preoccupante per l’andamento del mercato del lavoro (il rapporto sul mercato del lavoro sarà pubblicato il prossimo venerdì 2 settembre) è il balzo da 44.8 a 49.1 della voce Job hard to get, segnale di come le condizioni sul mercato del lavoro si stiano deteriorando. Il calo della fiducia dei consumatori anticipa una crescita molto moderata delle spese personali, da cui dipende oltre il 70% del Pil statunitense, nei prossimi mesi. L’attenzione si sposta ora sull’andamento dell’ISM manifatturiero (giovedì 1) e del mercato del lavoro (venerdì 2).

Italia: Modifiche alla manovra finanziaria. Intanto i rendimenti salgono

Ieri sera il Governo ha annunciato delle modifiche alla manovra finanziaria che era stata annunciata ad inizio agosto. Le principali novità sono presentate in questo articolo del Corriere della Sera. Il ministro Tremonti ha evidenziato come le modifiche sono state fatte a saldi invariati, cioè il raggiungimento del pareggio di bilancio nel 2013 è stato confermato. Non sono, però, state introdotte nuove misure per cercare di dare un impulso alla crescita economica: i rischi che il Pil possa crescere ad un ritmo inferiore all’1% nel 2012 sembrano essere notevolmente aumentati nel breve a causa dei segnali di rallentamento a livello internazionale mettendo a rischio il raggiungimento di tali obiettivi. La stessa Banca d’Italia ha messo in guardia dagli effetti restrittivi che la manovra potrebbe avere sulla crescita economica. A livello europeo segnali negativi sono giunti settimana scorsa dall’indice di fiducia delle imprese IFO, come evidenziato dal nostro articolo “Indice IFO peggiore delle attese

In questo scenario è difficile immaginare che i rendimenti dei Governativi italiani possano fare a meno del sostegno della BCE ancora per diversi mesi. Le aste di titoli del tesoro, dove la BCE non può intervenire per mandato, tenutesi oggi hanno visto i rendimenti a 10 anni salire al 5.22% con una domanda in calo rispetto all’asta tenutasi il 28 luglio (quando i rendimenti furono al 5.77%): il bid to cover ratio è sceso da 1.38 a 1.27. Lo spread tra il decennale italiano e quello tedesco è salito a 295 punti base, il più alto dal 9 agosto. Un segnale che i mercati non sono pienamente convinti dall’indirizzo preso dai conti pubblici.

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lunedì 29 agosto 2011

Mai puntare contro il consumatore statunitense?

Le spese personali statunitensi sono state migliori delle attese di consensus nel mese di luglio: +0.8% m/m contro attese a +0.5% m/m. In linea con le attese è stato l’andamento del reddito personale, salito dello 0.3% m/m, mentre il tasso di risparmio è sceso dal 5.5% al 5%. Le spese reali sono aumentate dello 0.5% m/m, evidenziando un forte rimbalzo dopo la debolezza del secondo trimestre quando erano rimaste praticamente invariate. Quest’ultimo dato, anche se tale ritmo di crescita non è sostenibile nei prossimi mesi, segnala come le spese personali potrebbero rimbalzare nel terzo trimestre, guidando l’intera economia statunitense (le spese personali rappresentano oltre il 70% del Pil). In ottica prospettica sarà da valutare l’andamento dell’indice di fiducia dei consumatori che sarà pubblicato domani e dal quale non sono attese indicazioni confortanti: l’indice, infatti, è atteso scendere da 59.5 a 52, minimo dal dicembre ’10, valore che segnalerebbe una crescita contenuta delle spese nei prossimi 2/3 mesi.

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venerdì 26 agosto 2011

Svizzera: il KOF scende e aumenta le pressioni sulla Banca Centrale

L’indice KOF, barometro per capire lo stato dell’economia svizzera, ha registrato nel mese di agosto una brusca flessione, scendendo da 1.98 a 1.61 contro attese di consensus a 1.80. Nonostante il forte calo, l’indice è rimasto su un valore in linea con una crescita del Pil superiore alla media storica (2.2% y/y contro 1.6% y/y). Tuttavia il forte ribasso dell’indice sottolinea come la forza del Franco Svizzero (che dopo la pubblicazione del dato ha perso oltre il 2% contro l’Euro) stia iniziando ad avere un effetto negativo sull’economia elvetica attraverso una flessione delle esportazioni ed una contrazione dei margini di profitto. Dopo gli interventi già attuati nel mese di agosto le pressioni sulla Banca Centrale Svizzera per agire nuovamente nel caso di nuovi rialzi della valuta restano elevate.
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giovedì 25 agosto 2011

Cosa aspettarsi da Bernanke a Jackson Hole?

Il simposio organizzato dalla Fed di Kansas City dal 1978 a Jackson Hole, sperduta valle vicino al confine occidentale del Wyoming, è stato per anni un barboso incontro tra banchieri centrali, ministri finanziari e accademici in cui erano discussi modelli matematici e altre stregonerie simili per cercare di migliorare l’efficienza della politica monetaria. Nulla di particolarmente interessante non solo per il pubblico indistinto ma anche per la maggior parte di analisti ed investitori. Tale simposio, però, è entrato al centro del panorama finanziario internazionale lo scorso anno quando, a sorpresa, il presidente della Fed Bernanke ha indicato che un’ulteriore mossa di politica monetaria espansiva, comunemente denominata QE2, sarebbe stata possibile nei mesi a venire per ridurre i rischi di un’entrata in deflazione dell’economia statunitense.
Per questo motivo, ai primi segnali di rallentamento del ciclo economico a stelle e strisce emersi nel corso dell’estate, molti investitori hanno caricato di attese il discorso che Bernanke terrà oggi al simposio, con la speranza che sia annunciato un nuovo intervento espansivo, il cosiddetto QE3. Il rimbalzo dei mercati azionari negli ultimi giorni è il chiaro segnale di come i mercati si aspettino una nuova iniezione di liquidità da parte della Fed, che potrebbe sostenere gli indici azionari per alcuni mesi, come avvenuto in occasione del QE2.
Le attese degli investitori, però, potrebbero essersi fatte troppo ottimistiche. Bernanke, infatti, nella sua testimonianza odierna potrebbe deludere gli investitori limitandosi a mantenere le porte aperte ad un ulteriore intervento espansivo qualora la situazione economica dovesse continuare a peggiorare, senza però indicare che questo sia imminente.
Rispetto allo scorso, infatti, le condizioni economiche sembrano essere profondamente diverse. In particolare è la dinamica dell’inflazione ad essere completamente cambiata. Se l’anno scorso l’inflazione era in un chiaro trend al ribasso, con il dato generale all’1.3% y/y e il cpi core all’1%, ora le pressioni inflazionistiche sono in netto rialzo: l’inflazione, a causa anche del balzo dei prezzi delle commodity figlio del QE2, è al 3.6% y/y, mentre il cpi core è salito sino all’1.8%. Dati che evidenziano non solo come i pericoli di deflazione, che erano stati alla base del QE2, siano svaniti ma come, al contrario, nel breve dovrebbe essere l’incremento dei prezzi al consumo a preoccupare. Solo il riemergere di timori di deflazione potrebbe spingere la Fed ad agire nuovamente in maniera espansiva, considerando che l’utilità di un QE3 è messa in dubbio da molti analisti.
Lo scenario del mercato del lavoro è a sua volta in miglioramento, anche se la sua debolezza continua ad essere uno dei maggiori fattori di preoccupazione per l’economia statunitense: il tasso di disoccupazione è sceso dal 9.6% dello scorso mese di agosto al 9.1% in luglio. Inoltre la Fed ha già annunciato al termine della riunione di politica monetaria dello scorso 9 agosto un’ulteriore mossa espansiva, indicando che i tassi sui Fed Fund dovrebbero restare invariati allo 0% sino alla metà del 2013. L’indicazione esplicita di un periodo temporale in cui i tassi sarebbero rimasti a zero, andando così ad influenzare i rendimenti lungo tutti i tratti della curva, era del resto una delle opzioni indicate da Bernanke per continuare nella politica monetaria espansiva con i tassi allo 0% nel suo famoso discorso del 2002 “Deflation: Making Sure It Doesn't Happen Here”, considerato la Bibbia del pensiero Bernankiano.
La discesa nel corso dell’estate dei rendimenti a lungo termine, con il decennale portandosi nei dintorni del 2%, ha inoltre fatto venire meno uno dei principali strumenti che avrebbe potuto adottare la Fed, ossia fissare un livello basso del decennale andando a influenzare tutti gli altri tassi di mercato.
Con la discesa del decennale, gli strumenti a disposizione della Fed si sono notevolmente assottigliati. Gli esperti puntano ora sul fatto che la Banca Centrale possa modificare la composizione dei titoli nel suo portafoglio, allungandone la duration, ed assicurare che non ridurrà il totale dei propri asset in portafoglio per un determinato periodo temporale. Quest’ultima opzione eliminerebbe i timori che il mercato possa essere investito da una montagna di titoli nei prossimi mesi, con il rischio di un forte calo della liquidità.
Più difficile, invece, è immaginare che la Fed possa adottare altri due strumenti a sua disposizione: comprare titoli obbligazionari governativi di paesi stranieri, per influenzare il tasso di cambio indebolendo il Dollaro, o intervenire sul mercato azionario, sulla scia della decisione della Bank of Japan di comprare titoli azionari attraverso gli ETF. Perché questo avvenga occorrerebbe che la situazione economica precipitasse ben più di quello che gli ultimi dati lascino prevedere, con una deflazione molto forte.
Infine, a remare contro un annuncio importante nella testimonianza di oggi è la natura stessa del simposio. Questo, infatti, non è un appuntamento ufficiale di politica monetaria della Fed, che, quindi, potrebbe decidere di non caricarlo eccessivamente d’importanza.
Il discorso di Bernanke di oggi, quindi, potrebbe essere una doccia gelata per tutti quelli investitori che avevano puntato su un rialzo dei mercati azionari grazie al sostegno della Fed. Salvo il caso in cui Bernanke decidesse di volere sorprendere ancora una volta i mercati annunciando qualcosa di eclatante, ma questa non sembra l’opzione più probabile.

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mercoledì 24 agosto 2011

Indice IFO peggiore delle attese

L'indice di fiducia delle imprese tedesche IFO pubblicato in mattinata è risultato peggiore delle attese, scendendo da 112.9 a 108.7 - minimo dal luglio '10 - contro attese di consensus a 111. La voce aspettative future ha fornito l'indicazione peggiore, scendendo da 105 a 100.1, contro attese a 102.8. Come abbiamo evidenziato nell'articolo "La fiducia scende in Germania e la BCE è in trappola", il calo dell'IFO dovrebbe proseguire anche nei prossimi mesi, con le conseguenze che si dovrebbero fare sentire sia sulla politica monetaria della BCE, sia sull'andamento dei mercati finanziari.




Moody's riduce il rating sul Giappone

La principale notizia proveniente dai mercati asiatici nel corso della notte è stata la decisione di Moody's di abbassare il rating del Giappone da "Aa3" ad "Aa2". A preoccupare l'agenzia di rating, che ha tagliato anche il rating delle maggiori banche del paese, è l'elevato livello del debito pubblico giapponese, superiore al 200% del PIl. Come avevamo sottolineato nell'articolo "Mina debito pubblico in Giappone" del marzo 2010, la situazione del debito pubblico giapponese potrebbe ulteriormente peggiorare nel corso dei prossimi mesi a causa di fattori strutturali, in particolare per il ribasso del tasso di risparmio.
Il downgrade di Moody's ha, però, avuto un impatto limitato sullo Yen, così come la decisione del governo di stanziare 100 miliardi di Yen per aiutare le aziende ad affrontare la forza della valuta, che si è mantenuto forte sia contro l'Euro sia contro lo Yen. Con le politiche monetarie espansive che dovrebbero proseguire ancora a lungo sia in USA (dove un QE3, per quanto non imminente è possibile) sia in area Euro (con la BCE che potrebbe essere costretta a tagliare i tassi nel 2012 come spiegato nell'articolo "La fiducia scende in Germania e la BCE è in trappola"), la forza dello Yen potrebbe proseguire ancora a lungo considerando che gli interventi della banca Centrale Giapponese per evitare un rialzo della valuta si sono dimostrati vani nel tempo.

martedì 23 agosto 2011

La fiducia scende in Germania e la BCE è in trappola

I dati economici pubblicati nelle ultime settimane hanno chiaramente evidenziato come anche l’economia tedesca inizi ad avere il fiato corto dopo la corsa del 2010. Il maggiore esempio in tal senso è stata la debolezza del Pil del secondo trimestre, che ha registrato un balzo di solo lo 0.1% q/q contro lo 0.5% atteso dal consensus e l’1.3% del primo trimestre.
Ma sono soprattutto gli indici di fiducia ad evidenziare come il forte tasso di crescita nel primo trimestre del 2011 possa non essere ripetuto per diversi trimestri. Sia il PMI manifatturiero sia il PMI servizi sono, infatti, ben lontani dai massimi registrati ad inizio anno, anche se rimangono su valori in linea con un’espansione dell’economia nella seconda metà del 2011. In particolare in agosto è stato il PMI manifatturiero a far tirare un respiro di sollievo agli esperti di mercato, restando invariato a 52, ben sopra, quindi, la soglia di 50 che delimita espansione da recessione. Tuttavia, il PMI servizi, sceso da 52.9 a 50.4, ha evidenziato come nonostante il buon momento del mercato del lavoro le spese per consumi potrebbero continuare a crescere ad un ritmo modesto anche nei prossimi mesi, facendo sì che l’economia tedesca rimanga troppo dipendente dall’andamento del ciclo economico a livello internazionale.
In forte calo in agosto è stato anche l’indice di fiducia di analisti ed investitori istituzionali Zew, sceso a -37.6, il minimo da dicembre ’08. Con il mercato azionario in calo di oltre il 20% nel periodo di riferimento, era del resto difficile immaginarsi un risultato migliore.
Il vero banco di prova per l’economia tedesca, però, sarà la pubblicazione oggi dell’indice di fiducia delle imprese IFO, ben più rappresentativo degli indici pubblicati ieri ed in grado di rappresentare con maggiore precisione le prospettive del settore industriale nei mesi a venire. L’indice, dopo avere registrato il massimo storico a 114.5 in giugno, dovrebbe estendere la correzione successiva scendendo da 112.9 a 111. Non un brusco calo e non il segnale di una forte correzione della produzione industriale nel breve: sulla base della relazione storica tra fiducia delle imprese e produzione industriale, a 111 l’IFO segnalerebbe che la produzione industriale potrebbe espandersi ad un ritmo vicino all’8% y/y nei prossimi due/tre mesi.
Più incerte, però, sono le prospettive del settore industriale nel corso dei mesi successivi. Storicamente, infatti, l’IFO ha mostrato una netta tendenza a muoversi in trend ben definiti, la cui durata media è stata di diciannove mesi. Con l’IFO che dovrebbe avere registrato in giugno il picco del trend al rialzo iniziato a dicembre ’08, le nostre attese sono che la fiducia delle imprese possa continuare a scendere non solo negli ultimi mesi del 2011 ma anche per tutto il 2012. Un minimo potrebbe essere raggiunto nell’area 90/95, valori che segnalerebbero una leggera contrazione su base annua della produzione industriale.
Le maggiori conseguenze di un trend al ribasso della fiducia delle imprese tedesche sarebbero sulla politica monetaria della BCE nel 2012. Per quanto un ulteriore rialzo dei tassi di 25 punti base all’1.75% in ottobre dopo i due rialzi di aprile e luglio sia una chiara possibilità, in particolare qualora l’inflazione tornasse a salire in agosto e settembre dopo il calo al 2.5% y/y in luglio, la BCE potrebbe essere costretta ad invertire la propria politica monetaria restrittiva nei mesi a venire. I principali punti di svolta dell’indice di fiducia delle imprese IFO, infatti, hanno puntualmente anticipato un cambiamento dell’orientamento della politica monetaria. Per questi motivi, grazie anche una discesa dell’inflazione nei prossimi mesi per il venire meno delle pressioni al rialzo provenienti dal balzo del prezzo delle commodity, la BCE potrebbe tornare sui suoi passi nel 2012 e tagliare i tassi, portandoli nuovamente all’1%, se non addirittura ad un livello più basso.
Una prosecuzione del trend al ribasso dell’IFO avrebbe anche effetti diretti sull’andamento sia dei rendimenti del mercato obbligazionario sia del mercato azionario. Storicamente un calo dell’IFO è stato seguito da un ribasso dei rendimenti dei governativi a 10 anni, come evidenziato dal grafico in pagina. Ancora più stretta è la correlazione tra le variazioni dell’indice di fiducia delle imprese e la performance annua del Dax. Un calo dell’IFO, quindi, potrebbe anticipare performance deludenti anche nei mesi a venire. Qualora il trend al ribasso dell’IFO fosse confermato, quindi, lo scenario per il mercato azionario continuerebbe a restare pieno d’incertezze, almeno fino a quando tale trend non si invertirà.

mercoledì 27 luglio 2011

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Un sospiro di sollievo dal Pil inglese

Che i mercati si aspettassero delle sorprese negative dal dato sul Pil inglese del secondo trimestre lo si capisce dalla reazione della Sterlina contro l’Euro nel momento della pubblicazione del dato: la valuta britannica ha guadagnato lo 0.4%, estendendo il progresso nelle ore successive. Non male come risposta a un dato che in definitiva è uscito in linea con le attese del consensus degli economisti: +0.2% q/q e +0.7% y/y, la variazione annua più bassa dal primo trimestre del 2010. A dare fiducia ai mercati è stata probabilmente la dichiarazione dell’Ufficio Nazionale di Statistica secondo cui al netto degli effetti straordinari delle vacanze extra a causa del matrimonio reale, del terremoto in Giappone, delle prime vendite dei biglietti per le olimpiadi e delle condizioni meteorologiche sfavorevoli al settore delle utility la crescita sarebbe stata dello 0.7% q/q. L’andamento delle singole voci all’interno del Pil non ha dato un quadro chiaro sulle prospettive di crescita dell’economia britannica. La produzione industriale è crollata dell’1.4% q/q, penalizzata dalla contrazione del 6.5% nel settore minerario e del 3.2% nel settore delle utility, ma anche il settore manifatturiero ha registrato una contrazione dello 0.3% q/q, segnale di come il comparto non riesca a beneficiare della debolezza della Sterlina nei confronti dell’Euro. Il settore dei servizi e delle costruzioni, invece, hanno registrato una crescita dello 0.5% q/q.
Quel che lascia in eredità il dato sul Pil del secondo trimestre è un’economia che fatica a trovare un sentiero di crescita sostenibile: negli ultimi nove mesi, infatti, l’economia britannica è rimasta sostanzialmente invariata considerando che nell’ultimo trimestre del 2010 si era contratta dello 0.5% q/q prima di rimbalzare dello 0.5% q/q in Q1 ’11. A parere degli esperti anche nella seconda parte dell’anno non ci dovrebbe essere un forte rimbalzo dell’economia, in linea con l’andamento degli indicatori anticipatori: sia il PMI manifatturiero sia quello relativo al settore dei servizi si sono portati in giugno su valori in linea con una crescita solo moderata nei prossimi mesi.
Questo potrebbe fare sì che il Governo debba rivedere al ribasso la propria stima sulla crescita del Pil nel 2011 attualmente all’1.7%, portandola in linea con quella del consensus degli economisti dell’1.3%. La crescita inferiore alle attese non dovrebbe, però, avere un impatto sulle decisioni in materia economica del Governo, che dovrebbe andare avanti nel suo piano di austerity nonostante alcuni esperti attribuiscano proprio alla stretta fiscale il motivo della debolezza dell’economia. Il cancelliere dello scacchiere Osborne, commentando il dato sul Pil, ha detto che abbandonare il piano di austerity avrebbe detto conseguenze molto negative sulla crescita. Tanto più che il paese rischia di perdere il proprio rating di tripla A secondo gli esperti a causa dell’elevato deficit pubblico.
La debolezza economica dovrebbe fare sentire i propri effetti anche sulla politica monetaria, con la Bank Of England che dovrebbe mantenere i tassi invariati allo 0.5% ancora a lungo: i tassi sul mercato monetario non scontano un rialzo prima della fine del primo trimestre del 2012. Tuttavia, con l’inflazione ancora ben sopra l’obiettivo del 2%, anche un nuovo programma di allentamento quantitativo prima della fine dell’anno sembra alquanto improbabile.
In questo scenario, e considerando che la BCE potrebbe alzare ulteriormente i tassi di 25bp in ottobre portandoli all’1.75%, il differenziale sui tassi di interesse dovrebbe continuare ad essere favorevole alla valuta unica europea. Per questo motivo la Sterlina dovrebbe continuare ad indebolirsi in un’ottica di medio periodo contro l’Euro.