lunedì 27 giugno 2011

Bernanke temporeggia e ringrazia l’IEA

Fino al discorso che il presidente della Fed Bernanke ha tenuto lo scorso 7 giugno alla conferenza sulla politica monetaria di Atlanta i mercati avevano sperato che dopo la fine del secondo programma di allentamento quantitativo previsto in giugno la Fed avrebbe implementato una nuova manovra espansiva, il cosiddetto QE3. Tanto più considerando che sulla base della regola di Taylor nella versione adatta della Fed di San Francisco per prendere in considerazione la situazione del mercato del lavoro i tassi dovrebbero essere negativi e non a 0/0.25%, livello cui la Fed li sta tenendo dal dicembre ‘08. Invece Bernanke aveva deluso tali attese indicando come i segnali di rallentamento dell’economia statunitense erano dovuti a fattori momentanei, contro cui la politica monetaria non avrebbe potuto fare niente.
Il comunicato rilasciato al termine della riunione di politica monetaria del Fomc di mercoledì 21 giugno e la successiva conferenza stampa di Bernanke non hanno cambiato le prospettive della politica monetaria, confermando che la Fed assumerà un orientamento attendista nel corso dei prossimi mesi. Salvo il caso di shock imprevedibili, la Fed dovrebbe limitarsi a reinvestire i capitali derivanti dagli asset attualmente in portafoglio senza né attuare una nuova politica espansiva né alzare i tassi. Pur sottolineando il rallentamento in atto dell’economia statunitense, che ha portato ad una revisione al ribasso delle stime sulla crescita economica sia per l’anno in corso che nel 2012, Bernanke ha evidenziato come questo sia prevalentemente dovuto a fattori temporanei, pur ammettendo, però, che parte della debolezza dell’economia non è spiegabile.
Tuttavia Bernanke non ha chiuso completamente le porte alle possibilità di una politica monetaria espansiva, ma ha evidenziato come lo scenario rispetto all’agosto ’10, quando la Fed ha iniziato a pensare al QE2, sia molto diverso. In particolare, ad essere diverso è l’andamento dell’inflazione: mentre allora la preoccupazione maggiore era una discesa in deflazione, con il CPI core al minimo storico dello 0.9%, ora l’inflazione sta crescendo a un ritmo decisamente superiore (1.5%). Anche il mercato del lavoro sta migliorando in maniera più consistente, per quanto la Fed non lo consideri un tasso soddisfacente. Solo un’inversione della tendenza al rialzo dell’inflazione o un peggioramento del mercato del lavoro potrebbero, quindi, spingere la Fed ad attuare una nuova manovra espansiva.
Le possibilità che questo possa avvenire, però, sembrano in questo momento poche. Il permanere delle quotazioni dei prezzi del petrolio su livelli elevati, nonostante la decisione dell’agenzia internazionale per l’energia (IEA) di vendere sul mercato 60 milioni di barili di petrolio abbia favorito un calo delle quotazioni a partire dal giovedì 23, e la debolezza del Dollaro dovrebbero fare sì che le pressioni inflazionistiche possano continuare a crescere nel breve. Con riferimento al mercato del lavoro, i dati pubblicati in settimana sulle richieste di sussidi di disoccupazione, stabilizzatesi sopra la soglia di 400 mila, hanno anticipato come la creazione di posti di lavoro possa essere molto moderata in giugno, ma che un forte peggioramento nel breve non sembra lo scenario più possibile.
Nel breve, quindi, l’unico stimolo che potrebbe arrivare all’economia globale è quello derivante dal calo del prezzo del petrolio dopo la decisione dell’IEA di vendere una parte delle riserve per abbassarne le quotazioni, anche se il ribasso delle quotazioni che ne è derivato non è sufficiente a fare cambiare le sorti dell’economia globale. Secondo le stime dell’OCSE, infatti, per fare incrementare la crescita dello 0.3% nel primo anno e dello 0.2% nel secondo in USA e dello 0.4% nel primo e dello 0.3% nel secondo in area Euro è necessario un calo del prezzo del petrolio del 50%. Ben più, quindi, del ribasso dell’11% dal massimo di metà maggio e del -5% degli ultimi due giorni.
Quella dell’IEA è così sembrata soprattutto una decisione politica per lanciare un segnale all’Opec, che aveva deciso nelle scorse settimane di lasciare la produzione invariata, e per dare un po’ di fiato ai mercati finanziari dopo che questi avevano reagito con un ribasso al nulla di fatto da parte della Fed. Tanto più che la situazione dell’offerta non era tale da richiedere un intervento visto che sul mercato si può trovare tutto il petrolio richiesto.
La politica monetaria attendista da parte della Fed nel corso dei prossimi mesi sarebbe, però, da valutare positivamente. In primo luogo perché darebbe stabilità ai mercati, eliminando le speculazioni e le incertezze sul futuro corso della politica monetaria. L’implementazione di un nuovo stimolo fiscale in un momento in cui le pressioni inflazionistiche sono in fase ascendente e la ripresa continua, seppure lentamente, potrebbe ulteriormente aumentare i timori che i prezzi al consumo possano salire in maniera sostenuta nei mesi a venire. L’ulteriore incremento della liquidità, infatti, potrebbe avere l’effetto di spingere al rialzo i prezzi delle commodities e indebolire il Dollaro.
Inoltre, con una politica monetaria invariata sia la curva dei rendimenti sia i tassi dei titoli a lungo termine potrebbero restare su questi livelli, dando una mano ai mercati. Da una parte, infatti, l’attuale pendenza della curva dei rendimenti ha solitamente anticipato una forte crescita degli utili, mentre tassi a lungo termine stabili o in discesa hanno accompagnato movimenti al rialzo per il mercato azionario statunitense.
Insomma, per una volta i mercati potrebbero gradire il non attivismo della Fed.

mercoledì 22 giugno 2011

La Fed assumerà una posizione attendista: no a rialzi dei tassi e al QE3 per ora

La riunione del Comitato di Politica monetaria della Fed di giugno è attesa da diversi mesi come uno spartiacque per la politica monetaria statunitense. Questa arriva in coincidenza con la fine del secondo programma di allentamento quantitativo deciso dalle autorità monetarie statunitensi lo scorso mese di novembre e potrebbe indicare quale sarà il nuovo orientamento di politica monetaria nei mesi a venire.
Lo scenario più probabile, però, è quello che vede la Fed assumere un atteggiamento attendista nel breve, dopo che i dati pubblicati nel corso delle ultime settimane hanno aumentato le incertezze sulle prospettive dell’economia statunitense nella seconda parte dell’anno. Nel comunicato rilasciato al termine della riunione, la Fed dovrebbe così evidenziare come i tassi resteranno fermi per un periodo di tempo considerevole e dovrebbe indicare che continuerà a reinvestire i ricavi derivanti dai titoli in portafoglio in titoli Governativi.
Anche nella conferenza stampa che il presidente della Fed Ben Bernanke terrà al termine della riunione non dovrebbero emergere novità di rilievo, in particolare non dovrebbero esserci accenni alla possibilità di un terzo programma di allentamento quantitativo nel breve, su cui i mercati avevano scommesso nelle ultime settimane prima di vedere le proprie attese deluse dalle dichiarazioni di Bernanke nel discorso del 7 giugno. La Fed pubblicherà le nuove stime su crescita ed inflazione, che dovrebbero essere riviste in senso peggiorativo. Le proiezioni sulla crescita economica, infatti, potrebbero essere riviste al ribasso rispetto alle stime presentate in aprile, quando il Pil era previsto aumentare del 3.2% nel 2011 e del 3.7/3.8% nel 2012, mentre quelle sull’inflazione potrebbero essere riviste al rialzo per tenere conto del permanere dei prezzi del petrolio su quotazioni elevate e dell’incremento delle pressioni inflazionistiche a livello core.
I dati economici pubblicati nel corso delle ultime settimane sono andati nella direzione di consigliare alla Fed di mantenere la politica monetaria invariata ancora per diversi e probabilmente per tutto il 2011 e buona parte del 2012. Da una parte, i segnali di un possibile rallentamento del settore industriale emersi dal calo dei primi indici di fiducia delle imprese relativi al mese di giugno e dalla crescita moderata delle spese personali hanno evidenziato come la ripresa statunitense non sia ancora completamente consolidata.
Dall’altra parte questi stessi dati non sembrano tali da mettere in pericolo una prosecuzione della fase di recupero dell’economia statunitense nei prossimi mesi. Segnali confortanti per i prossimi mesi sono ad esempio giunti dall’andamento del leading indicator, cresciuto più delle attese in maggio, sottolineando come le possibilità che l’economia statunitense entri in recessione nella seconda parte dell’anno. Sulla base di un probit model costruito dalla Fed di New York utilizzando i tassi di interesse a breve termine e lo spread della curva dei rendimenti le possibilità di una recessione nei prossimi 12 mesi sarebbero pari a zero.
Lo scenario più probabile, quindi, è quello di una prosecuzione di un moderato ritmo di crescita per l’economia statunitense, in cui nessun intervento di politica monetaria è necessario. Un rialzo dei tassi, infatti, è sconsigliato da alcune regole generali per valutare l’andamento della politica monetaria quali la regola di Taylor. Sulla base della versione adattata della Fed di San Francisco per tenere conto dell’andamento del mercato del lavoro, i tassi dovrebbero ancora essere negativi anche se meno rispetto al minimo di fine 2010. Un rialzo dei tassi non sarebbe necessario almeno fino a quando l’inflazione core non raggiungerà il 2% o il tasso di disoccupazione non scenderà con decisione sotto l’8%. Non a caso i futures sui Fed Fund non scontano un rialzo dei tassi prima di novembre 2012.
Allo stesso tempo una nuova politica espansiva non sembra indicata se non nel caso di un forte peggioramento delle condizioni economiche. Ad esempio gli economisti di Morgan Stanley ritengono che la Fed possa considerare l’implementazione del cosiddetto QE3 solo nel caso il tasso di disoccupazione dovesse tornare a salire vicino o sopra il 10% o nel caso in cui il tasso di inflazione core dovesse scendere sotto l’1%. Possibilità che secondo gli economisti dell’investment bank statunitense sembrano essere remote e che, in ogni caso, potrebbero spingere la Fed ad un diverso approccio di politica monetaria espansiva rispetto a quello di ulteriori acquisti di titoli del Tesoro.

giovedì 16 giugno 2011

Il Dax tedesco dovrebbe continuare a sovraperformare gli indici europei

Questo è il mio ultimo articolo pubblicato su seekingalpha con riferimento al mercato azionario tedesco.

martedì 14 giugno 2011

Euro al capolinea con il Dollaro

Le prospettive sullo stato dei conti pubblici dei paesi periferici, ed in particolare della Grecia, hanno tenuto banco nel corso delle ultime settimane tra investitori ed economisti, con alcuni di questi che si sono spinti a ritenere che l’Euro possa avere vita breve. Ma a giudicare dall’andamento della valuta unica europea sui mercati tali preoccupazioni non trovano molto spazio: l’Euro è stato protagonista di un forte rally a partire dalla fine del maggio che l’ha portato a registrare un massimo ad un passo da quota 1.47 contro il Dollaro statunitense proprio a inizio settimana. A sostenere l’Euro sono state le diverse prospettive sulla politica monetaria nei prossimi mesi da parte della Banca Centrale Europea e della Federal Reserve. La prima, infatti, ha confermato giovedì 9 che la fase di rialzo dei tassi iniziata ad aprile continuerà in luglio, con i tassi che dovrebbero salire dall’1.25% all’1.5%, mentre la seconda dovrebbe mantenere i tassi fermi ancora a lungo, con i mercati che hanno iniziato a scontare la possibilità di un nuovo piano di allentamento quantitativo (QE3) a causa dei segnali di rallentamento dell’economia.
Il ribasso della valuta unica europea nelle ultime giornate potrebbe, però essere il segnale di come gli spazi per un ulteriore rialzo nelle prossime settimane potrebbero essere limitati. In primo luogo perché sull’economia dell’area Euro e la sua valuta potrebbe continuare a pesare la spada di Damocle della crisi del debito nei paesi periferici. Nonostante l’Unione Europea possa essere sul punto di decidere un nuovo piano di aiuto, che dovrebbe essere formalizzato nella riunione dei ministri finanziari del 20 giugno e che dovrebbe ammontare a EUR60 miliardi più il contributo degli investitori privati, le possibilità della Grecia di evitare una qualsiasi forma di ristrutturazioni (o default) nei prossimi anni sembrano veramente poche. Con il pagamento dei soli interessi sul debito pubblico, stimato salire ben presto al 170% del Pil, che potrebbe raggiungere il 10% del Pil e con l’economia ellenica che continua a restare molto debole nonostante il balzo del Pil dello 0.8% q/q nel primo trimestre di quest’anno, immaginare una via d’uscita per la Grecia appare molto arduo.
Ma soprattutto le attese dei mercati sull’andamento del differenziale dei tassi di interessi, principale market mover del tasso di cambio EuroDollaro, potrebbero essersi fatte troppo favorevoli all’Euro nelle ultime settimane. Dopo l’annunciato rialzo dei tassi in luglio, la BCE è attesa alzare nuovamente i tassi due volte di 25 punti base nei prossimi mesi: la prima in ottobre e la seconda nel primo trimestre dell’anno prossimo per poi mantenerli fermi per tutto il 2012, in linea con quanto previsto dai futures sull’euribor. Questi altri due rialzi, però, difficilmente dovrebbero essere in grado di dare una forte spinta all’Euro, considerando che sono già scontati dal mercato. I mercati, inoltre, potrebbero avere assegnato probabilità troppo elevate all’eventualità di una nuova politica monetaria espansiva da parte della Fed. Il presidente della Fed Bernanke, invece, nel corso della sua testimonianza sulle prospettive dell’economia statunitense alla conferenza monetaria internazionale di Atlanta ha smorzato tali aspettative. Bernanke, infatti, ha sì evidenziato come l’economia statunitense stia rallentando più delle attese nel secondo trimestre, ma non ha fatto alcun accenno alla possibilità di un nuovo intervento espansivo limitandosi a confermare che i tassi resteranno fermi ancora a lungo. Il rialzo del Dollaro nei giorni seguenti può essere letto proprio in quest’ottica. La tesi del presidente della Fed è che l’attuale rallentamento dell’economia statunitense sia solamente temporaneo e provocato dalle conseguenze del terremoto in Giappone e del rialzo dei prezzi delle materie prime, fattori al di fuori del controllo delle autorità monetarie. Venuti meno questi elementi negativi, ed in particolare qualora l’economia giapponese dovesse ricominciare a marciare ad un buon ritmo per l’opera di ricostruzione dopo il terremoto, la crescita economica statunitense potrebbe riprendere vigore nella seconda parte di quest’anno.
Lo scenario economico, quindi, sembra propendere dalla parte di un recupero del biglietto verde. Qualora la ripresa economica dovesse accelerare nella seconda parte dell’anno, i mercati inizierebbero a ritenere del tutto improbabile un nuovo allentamento quantitativo da parte della Fed, scontando un orientamento di politica monetaria più restrittivo, mentre le attese sulla politica monetaria della BCE difficilmente dovrebbero cambiare. Le attese sul differenziale sui tassi di interesse sarebbero, di conseguenza, meno favorevoli all’Euro. Nel caso, invece, l’attuale rallentamento economico dovesse dimostrarsi solo il principio di una forte contrazione dell’economia, che avrebbe come conseguenza una nuova crisi dei mercati finanziari, il biglietto verde potrebbe beneficiare del movimento di fly to quality da parte degli investitori internazionali, come avvenuto all’indomani del fallimento di Lehman Brothers. Tra tutte le valute, infatti, il Dollaro Usa è la preferita nei momenti di panico.
Infine sono anche considerazioni di carattere fondamentale che sembrano far pendere l’ago della bilancia verso il Dollaro rispetto all’Euro. Dopo il recente rialzo, la valuta unica europea è sopravvalutata di oltre il 15% nei confronti del biglietto verde sulla base della parità del potere d’acquisto calcolata dall’OCSE, valore che potrebbe anticipare una correzione dell’Euro.

mercoledì 8 giugno 2011

La BCE pronta ad alzare i tassi, la BoE no

Le riunioni delle banche centrali in area Euro e Regno Unito in calendario oggi sono attese con diversi gradi di attenzione da parte degli investitori. Se, infatti, i mercati si aspettano da una parte che la BCE dia indicazioni sulla prosecuzione della fase di rialzo dei tassi già in luglio, dall’altra non si attendono novità dalla BoE, che dovrebbe lasciare i tassi invariati sino alla fine dell’anno nonostante l’inflazione veleggi a livelli doppi rispetto all’obiettivo del 2% fissato per la Banca centrale.
“Una forte vigilanza è necessaria con l’obiettivo di contenere i rischi al rialzo per la stabilità dei prezzi”. Questa è la frase che investitori ed economisti cercheranno nel discorso che il presidente della BCE Trichet terrà al termine della riunione di politica monetaria prevista oggi nella consueta conferenza stampa. L’espressione forte vigilanza, infatti, è il codice utilizzato dalla BCE per segnalare al mercato che un rialzo dei tassi è molto probabile nel corso della riunione successiva. Dopo il rialzo dei tassi di 25 punti base all’1.25% deciso in aprile, il primo da luglio ‘08, i mercati scontano con possibilità prossime al 100% un rialzo dei tassi all’1.5% nella riunione di luglio. Gli ultimi dati sui prezzi al consumo, del resto, non dovrebbero avere ridotto le preoccupazioni della BCE sulle prospettive dell’inflazione. Nonostante sulla base della stima flash di Eurostat il CPI sia sceso in maggio dal 2.8% y/y al 2.7% y/y, questo rimane ben sopra la soglia obiettivo della BCE del 2% e non è atteso scendere sotto tale livello almeno sino ai primi mesi del 2011 quando il balzo dei prezzi del petrolio degli ultimi mesi uscirà dalla base di calcolo della variazione annua. Anche gli ultimi dati sui prezzi alla produzione hanno evidenziato come le pressioni inflazionistiche potrebbero essere più elevate delle attese nei prossimi mesi, con l’incremento in aprile che è stato superiore a quanto atteso dal mercato. Ma a preoccupare la BCE dovrebbe essere soprattutto il balzo delle aspettative dei consumatori sull’andamento dell’inflazione, come sottolineato dalla voce relativa ai prezzi presente all’interno dell’indice di fiducia dei consumatori della Commissione Europea. Questa è salita recentemente ai massimi dal 2007 segnalando che maggiori pressioni inflazionistiche potrebbero ben presto avere conseguenze sui comportamenti delle famiglie e dei lavoratori, che potrebbero chiedere maggiori aumenti salariali in quei paesi quali la Germania dove il mercato del lavoro è particolarmente tonico.
Non dovrebbero, invece, avere un impatto sulle decisioni della BCE nel breve termine sia l’intensificarsi della crisi del debito in Grecia e negli altri paesi periferici dell’area Euro sia i segnali di rallentamento provenienti da ciclo economico. Un rialzo dei tassi da parte della BCE, infatti, dovrebbe avere un impatto limitato sui titoli del debito dei paesi periferici, considerando che questi sono ormai tagliati fuori dai mercati finanziari e hanno bisogno dell’assistenza di Unione Europea e FMI. I dati economici peggiori delle attese pubblicati recentemente, ed in particolare l’inaspettato calo della produzione industriale tedesca nel mese di aprile, dovrebbero, invece, rivelarsi temporanei e causati dalle conseguenze del terremoto in Giappone. Tutti gli indicatori anticipatori, come ad esempio l’indice di fiducia delle imprese tedesche IFO, continuano a segnalare come nel corso dei prossimi mesi l’attività economica dovrebbe continuare a crescere nei prossimi mesi, anche se ad un ritmo inferiore rispetto a quello di fine 2010/inizio 2011.
La BCE, quindi, dovrebbe proseguire anche nei mesi a venire nella fase di rialzo dei tassi: i futures sull’Euribor scontano due ulteriori rialzi di 25bp nei prossimi mesi. Il primo dovrebbe essere deciso in ottobre mentre il secondo, che porterebbe i tassi al 2%, dovrebbe essere deciso nella prima riunione del prossimo anno. A quel punto i tassi potrebbero restare fermi per tutto il 2012 considerando che le pressioni inflazionistiche dovrebbero rallentare, anche a causa di un minore tasso di crescita. Tassi al 2%, inoltre, sarebbero in linea con le indicazioni provenienti dalla regola di Taylor che, nelle sue diverse versioni, non richiede alcun intervento ulteriore sui tassi almeno fino a quando il Pil non tornerà su un valore in linea con il proprio potenziale, situazione che difficilmente dovrebbe essere realizzata prima del 2013, o quando il tasso di disoccupazione a livello di intera area Euro non scenderà dall’attuale 9.9% all’8.5%, considerato il tasso di disoccupazione non inflazionistico dall’OCSE.
Dalla riunione della BoE, invece, non dovrebbero emergere novità, con il comunicato rilasciato al termine dell’incontro di politica monetaria che dovrebbe ribadire come i tassi restino invariati allo 0.5% ed il programma di acquisto di asset a GBP200bn. Solo le minute della riunione che saranno pubblicate il 22 giugno daranno maggiori informazioni sulle prospettive della politica monetaria. Tuttavia, con gli ultimi dati che hanno evidenziato un nuovo ribasso dei prezzi delle case e delle vendite al dettaglio e con il settore industriale che sta beneficiando solo in parte del calo della Sterlina negli ultimi trimestri, immaginare un rialzo dei tassi nei prossimi mesi appare piuttosto difficile.

martedì 7 giugno 2011

Quel ribasso sospetto dei bond

Una delle principali scommesse degli investitori internazionali ad inizio anno era che con l’approssimarsi in giugno della fine del secondo programma di allentamento quantitativo da parte della Fed i rendimenti dei governativi statunitensi sarebbero saliti in maniera notevole venendo meno l’effetto calmierante degli acquisti da parte della banca centrale. Il balzo dei prezzi al consumo a causa del trend al rialzo delle quotazioni del petrolio avrebbe dovuto spingere ulteriormente all’insù i rendimenti.
L’andamento delle ultime settimane ha, però, smentito tale ipotesi, con i rendimenti dei governativi che sono scesi lungo tutti i tratti della curva. In particolare è stato il ribasso del decennale ad essere particolarmente accentuato: questo, infatti, è sceso in settimana sotto la soglia del 3% e sotto la propria media mobile a 40 settimane per la prima volta dallo scorso mese di dicembre. Solo un rialzo nella seduta di giovedì sulla scia dell’annuncio di Moody’s che potrebbe mettere sotto osservazione il rating degli USA ha provocato un ritorno del rendimento del decennale sopra la soglia del 3%, prima che l’andamento decisamente peggiore delle attese del mercato del lavoro nel mese di maggio li rispingesse sotto tale soglia. Tuttavia, nelle ultime settimane i rendimenti dei governativi sono scesi in maniera chiara anche in area Euro, considerando i titoli tedeschi come parametro di riferimento: anche il decennale tedesco si trova ora al 3% contro il 3.4% di metà aprile.
I mercati obbligazionari hanno risentito in maniera determinate da una parte dei segnali di rallentamento giunti nel corso delle ultime settimane dall’economia statunitense e dall’altra delle possibilità sempre più concrete che la Grecia possa essere costretta a ristrutturare il proprio debito nel breve, con un possibile effetto contagio anche sugli altri paesi periferici.
Una chiara indicazione del rallentamento dell’economia statunitense nel corso del secondo trimestre di quest’anno dopo la già debole crescita del Pil nel primo trimestre (+1.8% q/q annualizzato) è arrivato dal forte calo degli indici di fiducia delle imprese in maggio. L’indice ISM manifatturiero, il più importante a livello nazionale è sceso da 60.4 a 53.5, il minimo da settembre ‘09, anticipando un forte rallentamento della crescita nel breve. Anche la debole creazione di posti di lavoro in maggio - 54 mila contro attese di consensus a 165 mila – ha sottolineato il rallentamento dell’economia a stelle e strisce. Sui rendimenti dei titoli statunitensi potrebbe, inoltre, avere pesato l’impasse al Parlamento sull’incremento del limite massimo del debito, che ha portato all’annuncio di un possibile downgrade da parte di Moody’s. Con il governo impossibilitato ad emettere nuovo debito, gli investitori devono competere sui mercati per ottenere un bene che sta diventando scarso, come evidenziato dal ribasso del rendimento del titolo a 3 mesi dallo 0.1% a praticamente 0 (0.03%).
Sui rendimenti dei titoli tedeschi hanno, invece, giocato un ruolo fondamentale i timori sullo stato dei conti pubblici nei paesi periferici dell’area Euro, che hanno favorito il movimento di fly to quality da parte degli investitori. I dati economici sulla principale economia dell’area Euro continuano, infatti, a rimanere positivi, con l’indice IFO invariato a maggio a 114,2, valore prossimo al massimo storico di 115.4 registrato a febbraio. Tuttavia con i segnali di rallentamento a livello internazionale che si stanno facendo sempre più forti, anche i prossimi dati sull’economia tedesca dovrebbero confermare che il picco del tasso di crescita dovrebbe essere stato superato.
Nel breve periodo, quindi, potrebbe proseguire il trend al ribasso dei rendimenti nella parte a lunga della curva, considerando che i dati economici pubblicati sia in Usa sia in area Euro potrebbero essere deboli per le conseguenze sulle economie occidentali del terremoto in Giappone, che erano state sottovalutate in principio, in particolare per il settore automobilistico. Inoltre sui dati statunitensi potrebbero pesare, come evidenziato da alcuni economisti, alcuni problemi nel processo di destagionalizzazione dei dati che li porterebbe ad evidenziare un andamento dell’economia più marcato di quello reale. Tutti questi fattori potrebbero, però, rivelarsi temporanei considerando che l’economia giapponese è attesa rimbalzare nella seconda parte di quest’anno mentre l’effetto negativo della destagionalizzazione dei dati dovrebbe concludersi nei prossimi mesi.
I dati economici pubblicati nel corso delle ultime settimane hanno spinto gli investitori a rivedere le proprie aspettative sull’andamento della politica monetaria nel corso dei prossimi mesi. Se fino a qualche settimana fa i futures sui fed fund scontavano con buone probabilità un rialzo dei tassi entro la fine del primo trimestre del prossimo anno, ora non è assegnata più alcuna possibilità all’inizio di una politica monetaria restrittiva sino alla fine del primo semestre. Molti economisti, al contrario, si spingono a stimare che la Fed possa attuare una nuova manovra espansiva nel corso dei mesi a venire, in quello che sarebbe chiamato il QE3.
Tuttavia, qualora fossero confermate le ipotesi che i segnali di rallentamento potrebbero essere temporanei e l’economia internazionale dovesse accelerare nella seconda parte di quest’anno il trend al ribasso dei rendimenti potrebbe ben presto invertirsi. In primo luogo perché nonostante l’attuale rallentamento i dati economici continuano ad evidenziare che il trend positivo dell’economia dovrebbe continuare nei prossimi mesi. Ad esempio, l’ISM manifatturiero, nonostante il ribasso di maggio, rimane su un valore in linea con una crescita reale annua dell’economia statunitense del 3.8%. Inoltre verrebbero meno le attese di una nuova politica espansiva da parte della Fed mentre aumenterebbero le attese per una prosecuzione della fase restrittiva da parte della BCE, che settimana prossima dovrebbe annunciare un rialzo dei tassi in luglio.
In secondo luogo perché le pressioni sui prezzi al consumo dovrebbero continuare a restare elevate, con i prezzi del petrolio, che pur avendo interrotto nelle ultime settimane il proprio forte trend al rialzo, che restano su quotazioni elevate.
Ma soprattutto i rendimenti di lungo termine non sembrano offrire un’interessante opportunità d’acquisto considerando che questi dovrebbero trovarsi su valori ben più elevati alla luce dell’attuale scenario economico. Sulla base della regola generale che i tassi a 10 anni dovrebbero riflettere la crescita reale del Pil più il tasso di inflazione, un valore di equilibrio si dovrebbe trovare sopra il 4% sia per i titoli statunitensi che per quelli europei.
Solo un’entrata in recessione delle maggiori economie internazionali potrebbe giustificare rendimenti così bassi, ma per il momento le possibilità che questo possa avvenire sembrano piuttosto contenute.