giovedì 17 novembre 2011

A Look Into The Depths Of Europe's Recession

La BoE pronta a intervenire ancora, ma giustifica la BCE

Le conferenze stampe del Governatore della Bank of England in occasione delle presentazioni dell’Inflation Report trimestrale sono sempre piene di spunti interessanti e anche questa volta le attese non sono andate deluse. Nel corso della conferenza stampa di ieri, infatti, King ha fornito indicazioni interessanti non solo per quel che riguarda le prospettive della politica monetaria interna, ma ha anche dato la sua visione sugli avvenimenti che stanno riguardando l’area Euro.
Con riferimento alle prospettive della politica monetaria, la BoE ha evidenziato in maniera molto chiara come un’ulteriore espansione del programma di allentamento quantitativo, portato in ottobre da GBP200bn a GBP275bn, sia molto probabile nei prossimi mesi.
La BoE, infatti, ha rivisto considerevolmente al ribasso le proprie proiezioni sull’andamento sia del CPI sia della crescita economica per i prossimi trimestri. Nonostante i dati di ottobre abbiano visto l’inflazione assestarsi al 5% y/y, contro un obiettivo per la Banca Centrale del 2%, la BoE ha stimato che con una politica monetaria invariata il CPI potrebbe scendere sotto il 2% a metà del prossimo anno e rimanere sotto tale livello alla fine del periodo di previsione di due anni. Confrontando le proiezioni di novembre e le precedenti di agosto si nota come la BoE stimi che il target del 2% possa essere mancato in maniera più netta nonostante l’ulteriore incremento della politica monetaria espansiva deciso in ottobre.
Con riferimento alla crescita economica, la BoE ora stima un incremento del Pil nel quarto trimestre del 2012 di poco superiore all’1%, contro l’oltre 2% atteso in Agosto. La revisione al ribasso delle stime sulla crescita economica è stata attribuita principalmente alla crisi che sta colpendo l’area Euro che pesa non solo sulle esportazioni ma anche sul sistema finanziario. King ha evidenziato, ad esempio, come le banche inglesi risentiranno dei problemi di quelle europee pur essendo più solide.
Segnali negativi per l’economia inglese sono arrivati proprio ieri dai dati sul mercato del lavoro. Il tasso di disoccupazione è salito all’8.3% in settembre, massimo degli ultimi 15 anni, con il numero di disoccupati sotto i 24 anni che ha superato la soglia del milione per la prima volta dal 1992.
In questo scenario, gli esperti di mercato sono concordi nel ritenere che la BoE potrebbe decidere un incremento di 50bn del programma di acquisto di asset, con la data più probabile che sembra essere febbraio, quando la BoE pubblicherà le nuove stime su inflazione e GDP e terminerà l’attuale programma di allentamento quantitativo. A tal proposito, il Governatore King ha dichiarato che un’eventuale ulteriore espansione dell’allentamento quantitativo vedrà gli acquisti concentrati ancora sui titoli di stato, smontando le ipotesi che gli acquisti sarebbero stati estesi ad altre categorie di attività. Nel caso tali attese fossero confermate, la BoE arriverebbe a detenere quasi il 40% del debito pubblico inglese.
Nella conferenza stampa, King, pur mettendo in risalto i meriti del programma di allentamento quantitativo attuato in questo momento dalla BoE, ha sottolineato come i problemi dell’area Euro non siano risolvibili dalla politica monetaria. A parere del Governatore della BoE, infatti, i problemi dell’area Euro sono frutto degli squilibri che si sono creati all’interno dell’area Euro negli ultimi anni, ed in particolare dell’andamento dei flussi delle partite correnti. La risoluzione di questi squilibri non potrà avvenire attraverso interventi di breve periodo, ma attraverso interventi che permetteranno di fare guadagnare ai paesi al centro della crisi quella competitività persa negli ultimi anni. Tali interventi, ha evidenziato King, richiederanno anni per essere completati. Spetta, quindi, alla politica fiscale attuare queste manovre che richiederanno un trasferimento delle risorse e non alla politica monetaria. Un assist, quindi, al neo-collega Draghi, anche se nel breve termine la BCE sembra essere l’unica autorità in grado di permettere all’area Euro di non affondare in attesa che i leader dell’area Euro decidano di attuare delle manovre serie per bloccare la crisi.

venerdì 11 novembre 2011

La crisi in area Euro frena anche la Cina

Se c’erano dei dubbi che la crisi del debito nei paesi periferici avrebbe avuto conseguenze sull’economia reale, durante questa settimana sono stati definitivamente eliminati. La produzione industriale è crollata in settembre sia in Germania (-2.7% m/m), sia in Francia (-1.7% m/m) sia in Italia (-4.8% m/m). Con gli indici di fiducia delle imprese che continuano a puntare verso il basso, un ulteriore peggioramento dell’attività economica nell’ultima parte dell’anno sembra scontato, così come un’entrata in recessione dell’area Euro.
Ma il dato che più ha mostrato gli effetti sull’economia globale della crisi in area Euro è stato quello sulle esportazioni cinesi. In ottobre le esportazioni sono aumentate del 15.9% y/y, in ribasso dal 17.1% di settembre e dal 23% y/y dei primi tre trimestri dell’anno.
Di rilievo è stato il rallentamento delle esportazioni verso l’area Euro (+7.5% y/y) e, soprattutto, la contrazione del 18% y/y di quelle verso l’Italia. Le importazioni, invece, hanno tenuto il passo, con un incremento del 28.7% y/y, riducendo il surplus di bilancia commerciale a USD17bn. Gli economisti di Societè Generale hanno evidenziato come il surplus di bilancia commerciale annuo sia sulla via per scendere dal 3.1% del Pil del 2010 al 2.1% quest’anno, riducendo le pressioni per un ulteriore apprezzamento dello Yuan. Tanto è vero che, come evidenziato in un recente studio da Michael Pettis dell’Università di Pechino, la Banca centrale Cinese è dovuta intervenire recentemente sui mercati non tanto per frenare il rialzo dello Yuan, come da prassi negli ultimi due anni, ma per evitare una sua discesa: gli investitori internazionali non sembrano essere più disposti a puntare su un rialzo della valuta cinese proprio per i segnali di rallentamento economico a livello internazionale.
Il dato sulle esportazioni, infatti, ha rafforzato le attese che l’economia cinese possa andare incontro ad un netto rallentamento nei mesi a venire. Altre conferme in tal senso erano già arrivate in settimana dai dati sulla produzione industriale e sulle vendite al dettaglio relativi al mese di ottobre. La produzione industriale ha visto il proprio tasso di crescita annuo scendere dal 13.8% y/y al 13.2% y/y, con un ulteriore rallentamento atteso nell’ultima parte del 2011 in linea con la discesa del PMI manifatturiero negli ultimi mesi. Le vendite al dettaglio sono scese dal 17.7% y/y al 17.2% y/y.
In questo scenario, e con il rallentamento della crescita che potrebbe accelerare nei prossimi mesi, le pressioni sulle autorità per rendere la politica monetaria più espansiva si potrebbero fare sempre più forti. Tanto più che anche il mercato immobiliare si sta raffreddando in maniera decisa, in linea con il desiderio delle autorità politiche, preoccupate dalle difficoltà di una larga parte della popolazione a comprare una casa per i prezzi elevati. Le vendite di case sono scese del 14% y/y e le costruzioni di nuove case registrano un progresso limitato al 2.2% y/y. Cruciale diventa ora il dato sui prezzi delle case che sarà pubblicato il 18 novembre.
Nel breve, però, attendersi interventi espansivi potrebbe essere prematuro. L’inflazione, infatti, seppure in rallentamento dal 6.1% di settembre al 5.5% m/m in ottobre, rimane ancora ben sopra l’obiettivo del 4% del Governo e con segnali, soprattutto dall’andamento dei prezzi alimentari, che la discesa nei prossimi mesi possa essere molto graduale. Anche la discesa più sostenuta dei prezzi alla produzione (dal 6.5% al 5% y/y) non sembra essere tale da anticipare una dinamica più favorevole dei prezzi al consumo.
È, quindi, probabile che le autorità cinesi, nel tentativo di orchestrare un soft landing del mercato immobiliare dopo il boom degli ultimi anni per la forte espansione del credito, possa decidere di attuare degli interventi di supporto al credito per le piccole imprese, per la costruzione di case pubbliche e di infrastrutture, senza però intervenire per il momento sui tassi o sulle riserve che le banche centrali devono detenere presso la banca centrale.
Il grosso pericolo è che favorire un soft landing del mercato immobiliare è un’operazione mai riuscita a memoria d’uomo. Un crollo del mercato immobiliare, con una conseguente crisi sui mercati finanziari cinesi, è un pericolo da tenere ben presente e di cui abbiamo già parlato in passato. A quel punto anche tagliare i tassi in maniera forsennata potrebbe essere inutile. Per la banca centrale agire in anticipo, con il rischio di aumentare le pressioni inflazionistiche, sembra, quindi, essere la soluzione migliore, anche se non li vede la volontà in tal senso.