mercoledì 25 luglio 2012

Anche in Germania si sente la crisi

Non sono solo i paesi periferici dell’area Euro a preoccupare gli investitori alla vigilia del mese di agosto, che è temuto dagli operatori poiché considerato il periodo migliore per attacchi speculativi a causa dei bassi volumi di scambi. In settimana, infatti, sono arrivate notizie negative anche con riferimento alla Germania, il paese che gode di salute migliore tra i maggiori dell’area Euro e che, a parere di molti, dovrebbe giocare un ruolo maggiore per risolvere la crisi del debito.
Lunedì in serata è arrivata la bocciatura, seppure parziale, da parte dell’agenzia di rating Moody’s. Questa, pur mantenendo il rating di tripla A invariato, ha abbassato l’outlook sul paese a negativo, per le incertezze sulle prospettive dell’area Euro e il possibile impatto sui conti pubblici di altri salvataggi dei paesi in crisi. L’agenzia di rating ha preso un’analoga decisione anche su altri due paesi dell’area Euro che vantano ancora la tripla A, Lussemburgo e Olanda.
L’impatto sui rendimenti dei governativi tedeschi non è tardato, con un ritorno sopra l’1,2% per la prima volta dallo scorso giovedì. Tuttavia, la decisione di Moody’s potrebbe solo avere incentivato delle prese di beneficio dopo i forti ribassi dei rendimenti delle ultime sedute, mentre il trend delle prossime settimane dovrebbe dipendere sempre dall’evoluzione della crisi in Spagna ed Italia. Qualora la tensione in questi paesi non dovesse arrestarsi, i titoli tedeschi potrebbero essere comprati ancora a piene mani da parte degli investitori in cerca di beni rifugio. Del resto, i casi di USA e Francia, che hanno visto i propri rendimenti scendere ai minimi storici nonostante il taglio del rating, dimostrano come ormai i mercati guardino con sempre meno attenzione a quanto deciso dalle agenzie di rating.
Ben più preoccupanti sono le indicazioni arrivate dall’economia. Gli indici PMI di luglio pubblicati ieri hanno mostrato un andamento contrastato, ma hanno confermato che l’economia tedesca non dovrebbe sottrarsi al rallentamento dell’economia nella seconda parte dell’anno che dovrebbe colpire tutte le principali economie internazionali. Il segnale peggiore in tal senso è arrivato dall’andamento del PMI manifatturiero, sceso da 45 a 43,3, il valore più basso degli ultimi 37 mesi contro attese di consensus per un rialzo a 45,1. L’indice segnala, così, una forte contrazione del settore manifatturiero nel terzo trimestre. L’andamento della voce nuovi ordini, scesa a sua volta al minimo dall’aprile 2009 non indica alcuna ripresa nel breve. Quel che più colpisce è che il dato tedesco si trova su un valore inferiore sia a quello dell’intera area Euro, 44,1, sia a quello della Francia, 43,6. Anche il PMI servizi è sceso più delle attese, rimanendo sotto la soglia di 50 e segnalando una contrazione del settore nella prima parte del secondo semestre.
La pubblicazione oggi dell’indice di fiducia delle imprese tedesche IFO dovrebbe confermare come lo scenario per il settore manifatturiero stia decisamente peggiorando. L’indice dovrebbe scendere per il terzo mese consecutivo, passando da 105,3 a 103,8, il valore più basso da marzo 10. Pur rimanendo su un valore in linea con un moderato tasso di crescita della produzione industriale nel terzo trimestre, + 3,4% y/y secondo la correlazione di lungo termine tra l'indice e la produzione industriale, l’IFO segnalerebbe che l'attività economica in Germania potrebbe deteriorarsi velocemente nei prossimi mesi.
A salvare l’economia tedesca, che dovrebbe risentire del rallentamento sia dei paesi periferici sia delle altre maggiori economie internazionali non sarà una ripresa della domanda interna. L’indice di fiducia dei consumatori che sarà pubblicato giovedì dovrebbe evidenziare che una crescita dei consumi superiori all’1,5% nella seconda parte dell’anno sembra un miraggio.
In questo scenario, una recessione dell’economia tedesca nella seconda parte dell’anno non è più da escludere, anche se il 2012 dovrebbe comunque chiudersi secondo le stime del FMI con una crescita dell’1% grazie al buon andamento dei primi mesi. A preoccupare, invece, sarebbe la crescita dell’anno successivo, quando gli esperti del FMI stimano un’accelerazione dell’1,4%. Tuttavia, con gli ultimi dati che segnalano un ulteriore peggioramento, la crescita economica tedesca del prossimo anno potrebbe essere decisamente inferiore. A quel punto, i dogmi tedeschi sulle operazioni della BCE e sulle misure di austerity da adottare dai paesi periferici si allenterebbero un po’. Speriamo non ci sia bisogno di arrivare a quel punto.

lunedì 23 luglio 2012

Euro/Dollaro verso la parità?

Nel Top Down Outlook dello scorso 9 luglio avevamo analizzato le prospettive del tasso di cambio Euro Dollaro. Ripropiamo qui un estratto del report. Per una prova gratuita di un mese del report andate al siti www.matrada.it

La decisione della BCE di tagliare il tasso Refi dall’1% allo 0,75% in settimana, e soprattutto il tasso di deposito dallo 0,25% allo 0%, non è stata una grossa sorpresa per i mercati finanziari poichè in linea con le attese di consensus. Al contrario, i mercati sono rimasti delusi dal fatto che il presidente Draghi nella conferenza stampa non abbia dato chiare indicazioni di ulteriori interventi nei prossimi mesi, pur affermando che la BCE è pronta ad agire qualora fosse necessario e che gli strumenti a disposizione della Banca Centrale non sono terminati. Il mancato riferimento a nuove operazioni di rifinanziamento a lungo termine per le banche (LTRO) o a una riattivazione del programma di acquisto di titoli sul mercato (SMP) ha spinto i mercati azionari in ribasso nella seduta di giovedì.
Inoltre, il presidente Mario Draghi è sembrato molto pessimista sulle prospettive dell’economia dell’area Euro, dichiarando di aspettarsi una contrazione nel secondo trimestre e dicendo che i rischi al ribasso sull’economia si sono materializzati.
Oltre a spingere al ribasso i mercati azionari, le scelte di politica monetaria della BCE hanno avuto l’effetto di indebolire l’Euro, sceso contro il Dollaro USA sotto la soglia di 1,24 per la prima volta dallo scorso 4 giugno. Diverse sono le spiegazioni dietro l’indebolimento della valuta unica europea. In primo luogo hanno pesato i timori sulle prospettive dell’economia dell’area Euro, rafforzati dalle parole di Draghi. In secondo luogo, la decisione di abbassare i tassi sui depositi a 0% potrebbe spingere alcuni investitori a dirottare una parte dei propri capitali all’estero poiché i tassi sul mercato monetario sono praticamente scesi a 0. Un esempio si è avuto con la decisione di JP Morgan di sospendere le sottoscrizioni di 5 fondi monetari. Basti pensare che le banche commerciali depositavano circa 800 miliardi di Euro ogni giorno presso la Banca Centrale e che ora potrebbero decidere di ridurli in maniera andando alla ricerca di investimenti alternativi. Per quanto la speranza della BCE sia che una parte di questa liquidità sia dirottata verso l’economia reale, una parte potrebbe essere investita su mercati esteri, che offrono possibilità di rendimenti maggiori.
Altra spiegazione dietro il calo dell’Euro è che il taglio dei tassi ha ridotto l’incentivo a detenere la valuta unica europea sul mercato dei cambi. In particolare, nelle operazioni di carry trade l’Euro può diventare sempre più una valuta di finanziamento nei confronti di quelle che presentano tassi di interesse più elevati, come il Dollaro Australiano e Neozelandese e la corona Norvegese e Svedese. Allo stesso tempo, il differenziale positivo contro Dollaro USA e Sterlina si è assottigliato, riducendone ulteriormente l’appeal. Qualora i tassi dovessero scendere allo 0,5%, queste considerazioni prenderebbero ulteriore forza. Alcune investment bank, infatti, ritengono che il taglio dei tassi di giovedì 5 luglio non sarà l’ultimo. È questo il caso di Societè Generale, che prevede una riduzione di 25 punti base allo 0,5% in settembre.
Indebolire l’Euro nei confronti delle principali valute internazionali potrebbe, così, essere il prossimo obiettivo della BCE, anche se difficilmente le autorità monetarie potranno dichiararlo in pubblico. Un calo della valuta sarebbe, al momento attuale, il maggiore stimolo alla crescita economia europea. Basti ad esempio pensare che, secondo le stime dell’OCSE, il taglio dei tassi di 25 punti base potrebbe avere un impatto sulla crescita del Pil dello 0,1%. Come a dire nulla, come confermato dallo stesso Draghi giovedì in conferenza stampa. Un calo dell’Euro del 10%, invece, è in grado di stimolare la crescita economia dello 0,8% dopo un anno e dello 0,9% dopo due.
In tal senso una discesa sino alla parità del tasso di cambio Euro/Dollaro, un calo del 20% delle attuali quotazioni, è il meglio che l’economia dell’area Euro possa aspettarsi in questo momento. Lo stimolo alla crescita sarebbe, infatti, superiore all’1,5% e le ripercussioni sull’inflazione contenute, considerando che la crescita dei prezzi al consumo è attesa scendere sotto il 2% nella prima parte del prossimo anno dalla stessa BCE.
Una discesa dell’Euro alla parità contro il Dollaro non sarebbe, inoltre, neanche un fatto eccezionale sulla base dell’esperienza storica, come indicato dal grafico in pagina. In quel caso, infatti, l’Euro sarebbe sottovalutato contro il Dollaro di circa il 20% sulla base della stima della Parità del Potere d’acquisto calcolata dall’OCSE, in linea con quanto avvenuto nel periodo 2000/2002, quando era poi partito il rally che aveva spinto le quotazioni del tasso di cambio al record di 1,6 nel 2008. La sottovalutazione nel 1995, considerando la serie storica ricostruita dell’Euro, era ancora più ampia, avendo raggiunto il 30%.

Del resto, che l’Euro sia stato sopravvalutato contro il Dollaro per tutto il periodo della crisi degli ultimi anni è uno dei grandi misteri per i mercati finanziari.
Al di là di quelli che possono essere i movimenti di breve periodo, quindi, l’Euro sembra destinato a continuare ad indebolirsi anche nei prossimi mesi. Non è solo l’azione della BCE, infatti, che dovrebbe remare in quella direzione. Anche le politiche fiscali restrittive adottate dai governi dell’area Euro vanno nella direzione di un indebolimento dell’Euro. Come mostrato dal grafico in pagina, l’Euro ha in passato mostrato la tendenza ad indebolirsi contro il Dollaro nelle fasi di restrizione fiscale e viceversa. Questo perché politiche fiscali restrittive sono accompagnate da politiche monetarie espansive che tendono ad indebolire la valuta. Allo stesso tempo, le politiche fiscali più espansive adottate negli USA, salvo il caso in cui il Congresso non trovi un accordo per evitare il “fiscal cliff” all’inizio dell’anno prossimo, sono a favore di un rafforzamento del Dollaro.