mercoledì 27 aprile 2011

Il downgrade di Standard and Poor's allontana il rialzo dei tassi della Fed

La crisi dei paesi periferici; le rivolta in medio - oriente; il terremoto in Giappone. Non sono certo mancati i motivi di preoccupazione per i mercati finanziari nel corso delle ultime settimane. La revisione al ribasso dell’outlook da stabile a negativo sul rating di tripla AAA del debito pubblico statunitense da parte di Standard and Poor’s è, così, sembrato il pugno del KO per i mercati. L’agenzia di rating, infatti, ha dimostrato di non credere più al 100% nell’affidabilità del debito pubblico statunitense. I maggiori indici azionari internazionali di conseguenza sono scesi, anche se lo S&P500 ha limitato le perdite a poco più dell’1%, ed i rendimenti dei governativi, compresi quelli statunitensi di cui l’agenzia di rating aveva messo in discussione il valore, sono scesi per un movimento di fly to safety da parte degli investitori. Tuttavia nelle giornate seguenti i mercati, ripresisi dallo shock iniziale, hanno dimostrato di non prestare grossa attenzione alla svolta di Standard & Poor’s, spingendo nuovamente i mercati al rialzo. Unico asset che a fine settimana ha accusato il colpo del downgrade è stato il Dollaro, sceso al minimo da gennaio ’10 contro l’Euro, arrivando a toccare quota 1.46.
A permettere il recupero dei mercati è stata la considerazione che gli elementi alla base della decisione di Standard & Poor’s fossero già pienamente scontati. L’agenzia di rating, infatti, ha evidenziato come gli USA abbiano un deficit ed un debito pubblico superiori ed in crescita rispetto a quelli degli altri paesi con il rating massimo e che manchino di un piano di riequilibrio dei conti, che difficilmente potrebbe essere approvato prima del 2013. Nulla che i mercati già non sapessero e con il giudizio sulla difficoltà nel trovare un accordo che è sembrato tanto un attacco politico. Inoltre le agenzie di rating hanno perso molto del loro carisma dopo la crisi degli ultimi anni, in cui non avevano previsto né lo scoppio della bolla sui mutui subprime, né lo stato disastroso dei conti Lehman, né la difficile situazione dei conti pubblici dei paesi periferici dell’area Euro.
Tuttavia, il recupero dei mercati non deve fare passare in secondo piano il deterioramento dei conti pubblici statunitensi. In tal senso il downgrade di S&P potrebbe avere l’effetto di accelerare il processo di riequilibrio dei conti, dopo che lo stesso Presidente Obama ha riconosciuto in settimana che lo stato delle finanze statunitensi è insostenibile. Secondo le ultime stime del Congressional Budget Office, infatti, il deficit dovrebbe salire al 9.3% del Pil nel 2011, segnando un ulteriore peggioramento rispetto all’8.9% del 2010 e dovrebbe scendere al 3% solo nel 2014, mentre il debito pubblico dal 62.1% del 2010 al 68.9% nel 2011 e toccare un massimo del 75.1% nel 2013. Le pressioni sui membri di Camera e Senato di entrambi i partiti per trovare un accordo per un risanamento dei conti entro giugno potrebbero, così, aumentare.
Per quanto fondamentale per non correre il rischio che la maggiore economia mondiale possa andare veramente incontro ad una fuga degli investitori, una riduzione del deficit del bilancio federale potrebbe avere conseguenze negative sulla crescita economica nel breve periodo, facendo venire meno un importante fattore di sostegno della domanda interna. Le spese delle famiglie, infatti, dovrebbero continuare a crescere ad un ritmo moderato nei prossimi mesi, considerando che l’opera di riduzione del debito è ancora lontana dall’essersi conclusa. A partire dal massimo del primo trimestre del 2008 le famiglie statunitensi hanno ridotto il proprio debito totale di quasi il 4%, ma questo rimane ancora ben sopra la media storica di lungo periodo se confrontato al Pil nominale. Inoltre l’effetto ricchezza determinato del permanere del mercato azionario a ridosso dei massimi degli ultimi 3 anni è più che compensato dal calo dei prezzi delle case, il cui valore è sceso di quasi il 40% rispetto ai massimi del 2007.
La crescita delle spese personali, quindi, potrebbe essere sostenuta solo da un forte miglioramento del mercato del lavoro, che però non appare all’orizzonte. L’ottimismo dettato dalla forte crescita degli occupati nel settore non-agricolo negli ultimi due mesi (+216 mila in marzo e +194 mila in aprile) contrasta infatti con il ritorno delle richieste settimanali di sussidi di disoccupazione sopra la soglia di 400 mila per due settimane consecutive in aprile, segnale di come la ripresa del mercato del lavoro rimanga ancora farraginosa. Lo stesso permanere dell’indice di fiducia dei consumatori ben sotto la media storica di lungo periodo, situazione che dovrebbe essere confermato dal dato di aprile che sarà pubblicato martedì 26, è un segnale di come le spese personali dovrebbero crescere ad un ritmo moderato nei mesi a venire. Con le spese personali che costituiscono il 70% dell’economia statunitense, le conseguenze sull’economia sarebbero notevoli, come dovrebbe testimoniare il dato sul Pil del primo trimestre che sarà pubblicato Giovedì 28: dopo il +3.1% annualizzato dell’ultimo trimestre del 2010 il tasso di crescita potrebbe scendere vicino al 2% proprio per il rallentamento della crescita dei consumi.
Le possibilità di una stretta fiscale nei prossimi trimestri, il miglioramento solo modesto del mercato del lavoro e una crescita economica che appare in rallentamento, potrebbero spingere la Fed a mantenere un orientamento espansivo ancora per diversi mesi, come il presidente della Fed Bernanke dovrebbe evidenziare nel corso della prima storica conferenza stampa di mercoledì 27. La Fed, infatti, dovrebbe annunciare il completamento del programma di QE2 come originariamente programmato ma Bernanke dovrebbe evidenziare come il tasso di disoccupazione resti troppo elevato per pensare ad una stretta monetaria nel breve.