mercoledì 22 giugno 2011

La Fed assumerà una posizione attendista: no a rialzi dei tassi e al QE3 per ora

La riunione del Comitato di Politica monetaria della Fed di giugno è attesa da diversi mesi come uno spartiacque per la politica monetaria statunitense. Questa arriva in coincidenza con la fine del secondo programma di allentamento quantitativo deciso dalle autorità monetarie statunitensi lo scorso mese di novembre e potrebbe indicare quale sarà il nuovo orientamento di politica monetaria nei mesi a venire.
Lo scenario più probabile, però, è quello che vede la Fed assumere un atteggiamento attendista nel breve, dopo che i dati pubblicati nel corso delle ultime settimane hanno aumentato le incertezze sulle prospettive dell’economia statunitense nella seconda parte dell’anno. Nel comunicato rilasciato al termine della riunione, la Fed dovrebbe così evidenziare come i tassi resteranno fermi per un periodo di tempo considerevole e dovrebbe indicare che continuerà a reinvestire i ricavi derivanti dai titoli in portafoglio in titoli Governativi.
Anche nella conferenza stampa che il presidente della Fed Ben Bernanke terrà al termine della riunione non dovrebbero emergere novità di rilievo, in particolare non dovrebbero esserci accenni alla possibilità di un terzo programma di allentamento quantitativo nel breve, su cui i mercati avevano scommesso nelle ultime settimane prima di vedere le proprie attese deluse dalle dichiarazioni di Bernanke nel discorso del 7 giugno. La Fed pubblicherà le nuove stime su crescita ed inflazione, che dovrebbero essere riviste in senso peggiorativo. Le proiezioni sulla crescita economica, infatti, potrebbero essere riviste al ribasso rispetto alle stime presentate in aprile, quando il Pil era previsto aumentare del 3.2% nel 2011 e del 3.7/3.8% nel 2012, mentre quelle sull’inflazione potrebbero essere riviste al rialzo per tenere conto del permanere dei prezzi del petrolio su quotazioni elevate e dell’incremento delle pressioni inflazionistiche a livello core.
I dati economici pubblicati nel corso delle ultime settimane sono andati nella direzione di consigliare alla Fed di mantenere la politica monetaria invariata ancora per diversi e probabilmente per tutto il 2011 e buona parte del 2012. Da una parte, i segnali di un possibile rallentamento del settore industriale emersi dal calo dei primi indici di fiducia delle imprese relativi al mese di giugno e dalla crescita moderata delle spese personali hanno evidenziato come la ripresa statunitense non sia ancora completamente consolidata.
Dall’altra parte questi stessi dati non sembrano tali da mettere in pericolo una prosecuzione della fase di recupero dell’economia statunitense nei prossimi mesi. Segnali confortanti per i prossimi mesi sono ad esempio giunti dall’andamento del leading indicator, cresciuto più delle attese in maggio, sottolineando come le possibilità che l’economia statunitense entri in recessione nella seconda parte dell’anno. Sulla base di un probit model costruito dalla Fed di New York utilizzando i tassi di interesse a breve termine e lo spread della curva dei rendimenti le possibilità di una recessione nei prossimi 12 mesi sarebbero pari a zero.
Lo scenario più probabile, quindi, è quello di una prosecuzione di un moderato ritmo di crescita per l’economia statunitense, in cui nessun intervento di politica monetaria è necessario. Un rialzo dei tassi, infatti, è sconsigliato da alcune regole generali per valutare l’andamento della politica monetaria quali la regola di Taylor. Sulla base della versione adattata della Fed di San Francisco per tenere conto dell’andamento del mercato del lavoro, i tassi dovrebbero ancora essere negativi anche se meno rispetto al minimo di fine 2010. Un rialzo dei tassi non sarebbe necessario almeno fino a quando l’inflazione core non raggiungerà il 2% o il tasso di disoccupazione non scenderà con decisione sotto l’8%. Non a caso i futures sui Fed Fund non scontano un rialzo dei tassi prima di novembre 2012.
Allo stesso tempo una nuova politica espansiva non sembra indicata se non nel caso di un forte peggioramento delle condizioni economiche. Ad esempio gli economisti di Morgan Stanley ritengono che la Fed possa considerare l’implementazione del cosiddetto QE3 solo nel caso il tasso di disoccupazione dovesse tornare a salire vicino o sopra il 10% o nel caso in cui il tasso di inflazione core dovesse scendere sotto l’1%. Possibilità che secondo gli economisti dell’investment bank statunitense sembrano essere remote e che, in ogni caso, potrebbero spingere la Fed ad un diverso approccio di politica monetaria espansiva rispetto a quello di ulteriori acquisti di titoli del Tesoro.

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