lunedì 27 giugno 2011

Bernanke temporeggia e ringrazia l’IEA

Fino al discorso che il presidente della Fed Bernanke ha tenuto lo scorso 7 giugno alla conferenza sulla politica monetaria di Atlanta i mercati avevano sperato che dopo la fine del secondo programma di allentamento quantitativo previsto in giugno la Fed avrebbe implementato una nuova manovra espansiva, il cosiddetto QE3. Tanto più considerando che sulla base della regola di Taylor nella versione adatta della Fed di San Francisco per prendere in considerazione la situazione del mercato del lavoro i tassi dovrebbero essere negativi e non a 0/0.25%, livello cui la Fed li sta tenendo dal dicembre ‘08. Invece Bernanke aveva deluso tali attese indicando come i segnali di rallentamento dell’economia statunitense erano dovuti a fattori momentanei, contro cui la politica monetaria non avrebbe potuto fare niente.
Il comunicato rilasciato al termine della riunione di politica monetaria del Fomc di mercoledì 21 giugno e la successiva conferenza stampa di Bernanke non hanno cambiato le prospettive della politica monetaria, confermando che la Fed assumerà un orientamento attendista nel corso dei prossimi mesi. Salvo il caso di shock imprevedibili, la Fed dovrebbe limitarsi a reinvestire i capitali derivanti dagli asset attualmente in portafoglio senza né attuare una nuova politica espansiva né alzare i tassi. Pur sottolineando il rallentamento in atto dell’economia statunitense, che ha portato ad una revisione al ribasso delle stime sulla crescita economica sia per l’anno in corso che nel 2012, Bernanke ha evidenziato come questo sia prevalentemente dovuto a fattori temporanei, pur ammettendo, però, che parte della debolezza dell’economia non è spiegabile.
Tuttavia Bernanke non ha chiuso completamente le porte alle possibilità di una politica monetaria espansiva, ma ha evidenziato come lo scenario rispetto all’agosto ’10, quando la Fed ha iniziato a pensare al QE2, sia molto diverso. In particolare, ad essere diverso è l’andamento dell’inflazione: mentre allora la preoccupazione maggiore era una discesa in deflazione, con il CPI core al minimo storico dello 0.9%, ora l’inflazione sta crescendo a un ritmo decisamente superiore (1.5%). Anche il mercato del lavoro sta migliorando in maniera più consistente, per quanto la Fed non lo consideri un tasso soddisfacente. Solo un’inversione della tendenza al rialzo dell’inflazione o un peggioramento del mercato del lavoro potrebbero, quindi, spingere la Fed ad attuare una nuova manovra espansiva.
Le possibilità che questo possa avvenire, però, sembrano in questo momento poche. Il permanere delle quotazioni dei prezzi del petrolio su livelli elevati, nonostante la decisione dell’agenzia internazionale per l’energia (IEA) di vendere sul mercato 60 milioni di barili di petrolio abbia favorito un calo delle quotazioni a partire dal giovedì 23, e la debolezza del Dollaro dovrebbero fare sì che le pressioni inflazionistiche possano continuare a crescere nel breve. Con riferimento al mercato del lavoro, i dati pubblicati in settimana sulle richieste di sussidi di disoccupazione, stabilizzatesi sopra la soglia di 400 mila, hanno anticipato come la creazione di posti di lavoro possa essere molto moderata in giugno, ma che un forte peggioramento nel breve non sembra lo scenario più possibile.
Nel breve, quindi, l’unico stimolo che potrebbe arrivare all’economia globale è quello derivante dal calo del prezzo del petrolio dopo la decisione dell’IEA di vendere una parte delle riserve per abbassarne le quotazioni, anche se il ribasso delle quotazioni che ne è derivato non è sufficiente a fare cambiare le sorti dell’economia globale. Secondo le stime dell’OCSE, infatti, per fare incrementare la crescita dello 0.3% nel primo anno e dello 0.2% nel secondo in USA e dello 0.4% nel primo e dello 0.3% nel secondo in area Euro è necessario un calo del prezzo del petrolio del 50%. Ben più, quindi, del ribasso dell’11% dal massimo di metà maggio e del -5% degli ultimi due giorni.
Quella dell’IEA è così sembrata soprattutto una decisione politica per lanciare un segnale all’Opec, che aveva deciso nelle scorse settimane di lasciare la produzione invariata, e per dare un po’ di fiato ai mercati finanziari dopo che questi avevano reagito con un ribasso al nulla di fatto da parte della Fed. Tanto più che la situazione dell’offerta non era tale da richiedere un intervento visto che sul mercato si può trovare tutto il petrolio richiesto.
La politica monetaria attendista da parte della Fed nel corso dei prossimi mesi sarebbe, però, da valutare positivamente. In primo luogo perché darebbe stabilità ai mercati, eliminando le speculazioni e le incertezze sul futuro corso della politica monetaria. L’implementazione di un nuovo stimolo fiscale in un momento in cui le pressioni inflazionistiche sono in fase ascendente e la ripresa continua, seppure lentamente, potrebbe ulteriormente aumentare i timori che i prezzi al consumo possano salire in maniera sostenuta nei mesi a venire. L’ulteriore incremento della liquidità, infatti, potrebbe avere l’effetto di spingere al rialzo i prezzi delle commodities e indebolire il Dollaro.
Inoltre, con una politica monetaria invariata sia la curva dei rendimenti sia i tassi dei titoli a lungo termine potrebbero restare su questi livelli, dando una mano ai mercati. Da una parte, infatti, l’attuale pendenza della curva dei rendimenti ha solitamente anticipato una forte crescita degli utili, mentre tassi a lungo termine stabili o in discesa hanno accompagnato movimenti al rialzo per il mercato azionario statunitense.
Insomma, per una volta i mercati potrebbero gradire il non attivismo della Fed.

Nessun commento:

Posta un commento