martedì 7 giugno 2011

Quel ribasso sospetto dei bond

Una delle principali scommesse degli investitori internazionali ad inizio anno era che con l’approssimarsi in giugno della fine del secondo programma di allentamento quantitativo da parte della Fed i rendimenti dei governativi statunitensi sarebbero saliti in maniera notevole venendo meno l’effetto calmierante degli acquisti da parte della banca centrale. Il balzo dei prezzi al consumo a causa del trend al rialzo delle quotazioni del petrolio avrebbe dovuto spingere ulteriormente all’insù i rendimenti.
L’andamento delle ultime settimane ha, però, smentito tale ipotesi, con i rendimenti dei governativi che sono scesi lungo tutti i tratti della curva. In particolare è stato il ribasso del decennale ad essere particolarmente accentuato: questo, infatti, è sceso in settimana sotto la soglia del 3% e sotto la propria media mobile a 40 settimane per la prima volta dallo scorso mese di dicembre. Solo un rialzo nella seduta di giovedì sulla scia dell’annuncio di Moody’s che potrebbe mettere sotto osservazione il rating degli USA ha provocato un ritorno del rendimento del decennale sopra la soglia del 3%, prima che l’andamento decisamente peggiore delle attese del mercato del lavoro nel mese di maggio li rispingesse sotto tale soglia. Tuttavia, nelle ultime settimane i rendimenti dei governativi sono scesi in maniera chiara anche in area Euro, considerando i titoli tedeschi come parametro di riferimento: anche il decennale tedesco si trova ora al 3% contro il 3.4% di metà aprile.
I mercati obbligazionari hanno risentito in maniera determinate da una parte dei segnali di rallentamento giunti nel corso delle ultime settimane dall’economia statunitense e dall’altra delle possibilità sempre più concrete che la Grecia possa essere costretta a ristrutturare il proprio debito nel breve, con un possibile effetto contagio anche sugli altri paesi periferici.
Una chiara indicazione del rallentamento dell’economia statunitense nel corso del secondo trimestre di quest’anno dopo la già debole crescita del Pil nel primo trimestre (+1.8% q/q annualizzato) è arrivato dal forte calo degli indici di fiducia delle imprese in maggio. L’indice ISM manifatturiero, il più importante a livello nazionale è sceso da 60.4 a 53.5, il minimo da settembre ‘09, anticipando un forte rallentamento della crescita nel breve. Anche la debole creazione di posti di lavoro in maggio - 54 mila contro attese di consensus a 165 mila – ha sottolineato il rallentamento dell’economia a stelle e strisce. Sui rendimenti dei titoli statunitensi potrebbe, inoltre, avere pesato l’impasse al Parlamento sull’incremento del limite massimo del debito, che ha portato all’annuncio di un possibile downgrade da parte di Moody’s. Con il governo impossibilitato ad emettere nuovo debito, gli investitori devono competere sui mercati per ottenere un bene che sta diventando scarso, come evidenziato dal ribasso del rendimento del titolo a 3 mesi dallo 0.1% a praticamente 0 (0.03%).
Sui rendimenti dei titoli tedeschi hanno, invece, giocato un ruolo fondamentale i timori sullo stato dei conti pubblici nei paesi periferici dell’area Euro, che hanno favorito il movimento di fly to quality da parte degli investitori. I dati economici sulla principale economia dell’area Euro continuano, infatti, a rimanere positivi, con l’indice IFO invariato a maggio a 114,2, valore prossimo al massimo storico di 115.4 registrato a febbraio. Tuttavia con i segnali di rallentamento a livello internazionale che si stanno facendo sempre più forti, anche i prossimi dati sull’economia tedesca dovrebbero confermare che il picco del tasso di crescita dovrebbe essere stato superato.
Nel breve periodo, quindi, potrebbe proseguire il trend al ribasso dei rendimenti nella parte a lunga della curva, considerando che i dati economici pubblicati sia in Usa sia in area Euro potrebbero essere deboli per le conseguenze sulle economie occidentali del terremoto in Giappone, che erano state sottovalutate in principio, in particolare per il settore automobilistico. Inoltre sui dati statunitensi potrebbero pesare, come evidenziato da alcuni economisti, alcuni problemi nel processo di destagionalizzazione dei dati che li porterebbe ad evidenziare un andamento dell’economia più marcato di quello reale. Tutti questi fattori potrebbero, però, rivelarsi temporanei considerando che l’economia giapponese è attesa rimbalzare nella seconda parte di quest’anno mentre l’effetto negativo della destagionalizzazione dei dati dovrebbe concludersi nei prossimi mesi.
I dati economici pubblicati nel corso delle ultime settimane hanno spinto gli investitori a rivedere le proprie aspettative sull’andamento della politica monetaria nel corso dei prossimi mesi. Se fino a qualche settimana fa i futures sui fed fund scontavano con buone probabilità un rialzo dei tassi entro la fine del primo trimestre del prossimo anno, ora non è assegnata più alcuna possibilità all’inizio di una politica monetaria restrittiva sino alla fine del primo semestre. Molti economisti, al contrario, si spingono a stimare che la Fed possa attuare una nuova manovra espansiva nel corso dei mesi a venire, in quello che sarebbe chiamato il QE3.
Tuttavia, qualora fossero confermate le ipotesi che i segnali di rallentamento potrebbero essere temporanei e l’economia internazionale dovesse accelerare nella seconda parte di quest’anno il trend al ribasso dei rendimenti potrebbe ben presto invertirsi. In primo luogo perché nonostante l’attuale rallentamento i dati economici continuano ad evidenziare che il trend positivo dell’economia dovrebbe continuare nei prossimi mesi. Ad esempio, l’ISM manifatturiero, nonostante il ribasso di maggio, rimane su un valore in linea con una crescita reale annua dell’economia statunitense del 3.8%. Inoltre verrebbero meno le attese di una nuova politica espansiva da parte della Fed mentre aumenterebbero le attese per una prosecuzione della fase restrittiva da parte della BCE, che settimana prossima dovrebbe annunciare un rialzo dei tassi in luglio.
In secondo luogo perché le pressioni sui prezzi al consumo dovrebbero continuare a restare elevate, con i prezzi del petrolio, che pur avendo interrotto nelle ultime settimane il proprio forte trend al rialzo, che restano su quotazioni elevate.
Ma soprattutto i rendimenti di lungo termine non sembrano offrire un’interessante opportunità d’acquisto considerando che questi dovrebbero trovarsi su valori ben più elevati alla luce dell’attuale scenario economico. Sulla base della regola generale che i tassi a 10 anni dovrebbero riflettere la crescita reale del Pil più il tasso di inflazione, un valore di equilibrio si dovrebbe trovare sopra il 4% sia per i titoli statunitensi che per quelli europei.
Solo un’entrata in recessione delle maggiori economie internazionali potrebbe giustificare rendimenti così bassi, ma per il momento le possibilità che questo possa avvenire sembrano piuttosto contenute.

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