venerdì 22 luglio 2011

Quanti dubbi sull’economia cinese

È stata un’estate turbolenta finora per i mercati finanziari che hanno dovuto fare i conti con l’aggravarsi delle tensioni sul debito pubblico dei paesi periferici dell’area Euro e con il tira e molla del Congresso statunitense sull’incremento della soglia del debito a stelle e strisce che ha messo a repentaglio il rating di tripla A del paese. In questo scenario le uniche notizie positive sono arrivate dalla Cina, la cui economia ha dimostrato di continuare a correre ad un buon ritmo nonostante i timori di un suo rallentamento manifestati da alcuni economisti. Il segnale più positivo in tal senso è stata la pubblicazione del dato sul Pil del secondo trimestre dell’anno, risultato superiore alle attese con una crescita del 9.5% y/y contro le stime di consensus per un incremento del 9.2%. A sorprendere gli economisti è stato, però, soprattutto l’incremento trimestrale del 2.2% in termini destagionalizzati, che è stato superiore al 2.1% del primo trimestre, mostrando un’inaspettata accelerazione del tasso di crescita.
Ancora una volta sono stati gli investimenti a trascinare l’economia cinese, con un contribuito alla crescita del 5.1%, mentre i consumi hanno contribuito con il 4.6% mentre la domanda estera netta ha sottratto lo 0.1%. In tale prospettiva non stupisce il balzo della produzione industriale, cresciuta in giugno al ritmo maggiore dell’ultimo anno: +1.5% m/m e +15% y/y.
Questi dati hanno permesso di mettere in soffitta, per il momento, i timori legati alle prospettive di crescita nella seconda parte dell’anno, anche se la discesa del PMI manifatturiero nel mese di luglio sotto la soglia di 50 non fa dormire sonni tranquilli. La pubblicazione ieri del leading indicator del Conference Board di maggio ha confermato come la crescita economica dovrebbe proseguire ad un buon ritmo nella seconda parte dell’anno: l’indice, che è costruito per anticipare la crescita di sei mesi è, infatti, salito dello 0.5% m/m, dopo il +0.1% m/m di aprile ed il +0.9% m/m di marzo. Alla luce degli ultimi positivi dati economici la stima del Fondo monetario internazionale di un’espansione del Pil cinese del 9.6% potrebbe, così, rivelarsi troppo pessimistica.
Il miglioramento delle aspettative sulla crescita economica cinese si sono riflessi in un rimbalzo delle quotazioni delle commodities, ed in particolare del rame, e del mercato azionario cinese.
Tuttavia, anche con riferimento all’economia cinese non mancano i motivi di preoccupazione. In primo luogo il governo è particolarmente impegnato per riportare sotto controllo l’inflazione, salita in giugno dello 0.3% m/m e del 6.4% y/y contro un obiettivo per il 2012 del 4%. Nonostante la Banca Centrale cinese abbia alzato i tassi ad inizio luglio per la quinta volta negli ultimi 8 mesi, portando i tassi sui depositi al 3.5% e quelli sui prestiti al 6.56%, ed il livello delle riserve da detenere presso la banca centrale al 21.5%, la politica monetaria restrittiva potrebbe proseguire anche nei prossimi mesi. La principale novità, però, è rappresentata da un diverso orientamento sull’andamento del tasso di cambio. L’amministrazione statale sui tassi di cambi, dopo avere permesso allo Yuan di salire al massimo degli ultimi 17 anni contro il Dollaro statunitense in settimana, ha evidenziato come l’apprezzamento della valuta non esponga a delle perdite reali del valore delle riserve, salite nel secondo trimestre al livello record di USD3.197bn, pari a circa il 50% del Pil cinese lasciando intendere che queste non rappresentano un ostacolo ad ulteriori progressi della valuta. Le autorità cinesi potrebbero, così, decidere nella seconda parte dell’anno di permettere un apprezzamento più sostenuto della valuta per contenere le pressioni inflazionistiche.
Un altro motivo di preoccupazione è lo stato di salute del comparto immobiliare. Nel corso degli ultimi anni il comparto immobiliare ha registrato un vero e proprio boom, raggiungendo un punto in cui le attività nel settore delle costruzioni non sono più sostenibili. Ad esempio gli analisti di Societè Generale hanno evidenziato come il consumo di cemento annuo per persona in Cina sia quattro volte superiore alla media mondiale e come siano costruite nuove abitazioni per 60 milioni di persone all’anno. Con le autorità che stanno cercando di rallentare lo sviluppo del settore mettendo ulteriori restrizioni agli acquisti speculativi ed in rallentamento della crescita dei prezzi che potrebbe frenare i nuovi acquisti, le possibilità di un crollo del settore stanno aumentando.
Questo potrebbe avere conseguenze negative sul settore finanziario, in particolare su quella parte attualmente non regolamentato. Le piccole e medie imprese, infatti, sono state tagliate fuori dall’accesso al credito dai canali ufficiali e si sono dovuti rivolgere a canali alternativi quali fondi di investimento e prodotti per retailer ad alto rendimento. Se questo, da una parte, ha distorto la concorrenza a favore dei grandi gruppi immobiliari, dall’altra potrebbe fare sì che in caso di una grossa crisi del comparto immobiliare possa avere effetti negativi su una parte del sistema finanziario fuori dal controllo delle autorità.
Infine è l’elevato debito locale a far correre alla Cina i rischi di una crisi finanziaria. Secondo le statistiche governative le amministrazioni locali avrebbero collezionato a partire dal 2009 debiti pari al 30% del Pil e difficilmente potrebbero essere in grado di ripagarli senza un intervento governativo, la cui maggiore preoccupazione è quella di bloccare questo trend al rialzo dell’indebitamento.
Se dalla Cina, quindi, sono per ora giunte sorprese positive nel corso dell’estate, non è da escludere che anche da oriente possano arrivare a breve ulteriori fonti di incertezza.

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