giovedì 25 agosto 2011

Cosa aspettarsi da Bernanke a Jackson Hole?

Il simposio organizzato dalla Fed di Kansas City dal 1978 a Jackson Hole, sperduta valle vicino al confine occidentale del Wyoming, è stato per anni un barboso incontro tra banchieri centrali, ministri finanziari e accademici in cui erano discussi modelli matematici e altre stregonerie simili per cercare di migliorare l’efficienza della politica monetaria. Nulla di particolarmente interessante non solo per il pubblico indistinto ma anche per la maggior parte di analisti ed investitori. Tale simposio, però, è entrato al centro del panorama finanziario internazionale lo scorso anno quando, a sorpresa, il presidente della Fed Bernanke ha indicato che un’ulteriore mossa di politica monetaria espansiva, comunemente denominata QE2, sarebbe stata possibile nei mesi a venire per ridurre i rischi di un’entrata in deflazione dell’economia statunitense.
Per questo motivo, ai primi segnali di rallentamento del ciclo economico a stelle e strisce emersi nel corso dell’estate, molti investitori hanno caricato di attese il discorso che Bernanke terrà oggi al simposio, con la speranza che sia annunciato un nuovo intervento espansivo, il cosiddetto QE3. Il rimbalzo dei mercati azionari negli ultimi giorni è il chiaro segnale di come i mercati si aspettino una nuova iniezione di liquidità da parte della Fed, che potrebbe sostenere gli indici azionari per alcuni mesi, come avvenuto in occasione del QE2.
Le attese degli investitori, però, potrebbero essersi fatte troppo ottimistiche. Bernanke, infatti, nella sua testimonianza odierna potrebbe deludere gli investitori limitandosi a mantenere le porte aperte ad un ulteriore intervento espansivo qualora la situazione economica dovesse continuare a peggiorare, senza però indicare che questo sia imminente.
Rispetto allo scorso, infatti, le condizioni economiche sembrano essere profondamente diverse. In particolare è la dinamica dell’inflazione ad essere completamente cambiata. Se l’anno scorso l’inflazione era in un chiaro trend al ribasso, con il dato generale all’1.3% y/y e il cpi core all’1%, ora le pressioni inflazionistiche sono in netto rialzo: l’inflazione, a causa anche del balzo dei prezzi delle commodity figlio del QE2, è al 3.6% y/y, mentre il cpi core è salito sino all’1.8%. Dati che evidenziano non solo come i pericoli di deflazione, che erano stati alla base del QE2, siano svaniti ma come, al contrario, nel breve dovrebbe essere l’incremento dei prezzi al consumo a preoccupare. Solo il riemergere di timori di deflazione potrebbe spingere la Fed ad agire nuovamente in maniera espansiva, considerando che l’utilità di un QE3 è messa in dubbio da molti analisti.
Lo scenario del mercato del lavoro è a sua volta in miglioramento, anche se la sua debolezza continua ad essere uno dei maggiori fattori di preoccupazione per l’economia statunitense: il tasso di disoccupazione è sceso dal 9.6% dello scorso mese di agosto al 9.1% in luglio. Inoltre la Fed ha già annunciato al termine della riunione di politica monetaria dello scorso 9 agosto un’ulteriore mossa espansiva, indicando che i tassi sui Fed Fund dovrebbero restare invariati allo 0% sino alla metà del 2013. L’indicazione esplicita di un periodo temporale in cui i tassi sarebbero rimasti a zero, andando così ad influenzare i rendimenti lungo tutti i tratti della curva, era del resto una delle opzioni indicate da Bernanke per continuare nella politica monetaria espansiva con i tassi allo 0% nel suo famoso discorso del 2002 “Deflation: Making Sure It Doesn't Happen Here”, considerato la Bibbia del pensiero Bernankiano.
La discesa nel corso dell’estate dei rendimenti a lungo termine, con il decennale portandosi nei dintorni del 2%, ha inoltre fatto venire meno uno dei principali strumenti che avrebbe potuto adottare la Fed, ossia fissare un livello basso del decennale andando a influenzare tutti gli altri tassi di mercato.
Con la discesa del decennale, gli strumenti a disposizione della Fed si sono notevolmente assottigliati. Gli esperti puntano ora sul fatto che la Banca Centrale possa modificare la composizione dei titoli nel suo portafoglio, allungandone la duration, ed assicurare che non ridurrà il totale dei propri asset in portafoglio per un determinato periodo temporale. Quest’ultima opzione eliminerebbe i timori che il mercato possa essere investito da una montagna di titoli nei prossimi mesi, con il rischio di un forte calo della liquidità.
Più difficile, invece, è immaginare che la Fed possa adottare altri due strumenti a sua disposizione: comprare titoli obbligazionari governativi di paesi stranieri, per influenzare il tasso di cambio indebolendo il Dollaro, o intervenire sul mercato azionario, sulla scia della decisione della Bank of Japan di comprare titoli azionari attraverso gli ETF. Perché questo avvenga occorrerebbe che la situazione economica precipitasse ben più di quello che gli ultimi dati lascino prevedere, con una deflazione molto forte.
Infine, a remare contro un annuncio importante nella testimonianza di oggi è la natura stessa del simposio. Questo, infatti, non è un appuntamento ufficiale di politica monetaria della Fed, che, quindi, potrebbe decidere di non caricarlo eccessivamente d’importanza.
Il discorso di Bernanke di oggi, quindi, potrebbe essere una doccia gelata per tutti quelli investitori che avevano puntato su un rialzo dei mercati azionari grazie al sostegno della Fed. Salvo il caso in cui Bernanke decidesse di volere sorprendere ancora una volta i mercati annunciando qualcosa di eclatante, ma questa non sembra l’opzione più probabile.

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