martedì 17 maggio 2011

Aspettando la fine del QE2 della Fed

Lo S&P500, indice più rappresentativo del mercato azionario statunitense, e il Dax30, indice di riferimento di quello tedesco, hanno continuano a marciare come due rulli compressori nel corso delle ultime settimane nonostante tutte le incertezze legate al balzo dei prezzi del petrolio, alla crisi del debito nei paesi periferici dell’area Euro e agli effetti sulla crescita economica internazionale del terremoto in Giappone e della politica monetaria restrittiva adottata in Cina.
Nel corso della settimana appena conclusa, entrambi gli indici sono rimasti a ridosso dei massimi degli ultimi tre anni e hanno continuato a colmare il gap rispetto ai massimi storici che erano stati registrati prima dello scoppio della crisi del debito nel 2007. Lo S&P500 dovrebbe salire di un altro 16% per segnare un nuovo massimo storico, mentre al Dax basterebbe un ulteriore +8%.
La forza del mercato azionario tedesco è da considerare tanto più positivamente visto il ruolo che ha avuto nel trascinare al rialzo anche gli indici rappresentativi di tutto il mercato dell’area Euro quale ad esempio il DJ Eurostoxx, compensando la debolezza negli ultimi anni dei mercati periferici.
Nel breve periodo lo scenario dei principali mercati azionari occidentali rimane positivo, consigliando di mantenere gli investimenti in questi asset nonostante i profitti registrati negli ultimi mesi e l’inizio del periodo maggio-ottobre solitamente sfavorevole ai mercati azionari possano invogliare a smobilizzare le posizioni. In primo luogo è da evidenziare come i principali indicatori di momentum restino orientati al rialzo, fornendo indicazioni positive in un’ottica trend follower. Tutti i maggiori indici, infatti, continuano a mantenere una performance positiva rispetto allo stesso periodo dello scorso anno e rimangono ben sopra la media mobile a dieci mesi, segnale di un trend di medio periodo favorevole. Un’indicazione positiva arriva anche da uno dei principali indicatori di ampiezza del mercato statunitense: l’AD line, indicatore costruito calcolando la differenza tra titoli in crescita e titoli in discesa nel corso di una seduta e aggiungendo tale valore a quello del giorno precedente. L’AD line rimane ben sopra la propria media mobile a quaranta settimane, circostanza che è stata storicamente seguita da un trend positivo del mercato azionario statunitense.
Concentrandoci sul mercato statunitense, che rimane il faro a livello internazionale, un ulteriore elemento che dovrebbe sostenerlo nei prossimi mesi è il buon andamento degli utili aziendali. Nonostante gli analisti stiano rivedendo al ribasso le proprie stime, che si erano fatte troppo ottimistiche con un tasso di crescita degli utili atteso del 17% nel 2011 e del 13% nel 2012, questi dovrebbero continuare a crescere ad un buon ritmo nei prossimi mesi. La principale indicazione in tale senso arriva dalla pendenza della curva dei rendimenti, come evidenziato dal grafico in pagina. Un differenziale tra il rendimento dei titoli a dieci anni e quello a due anni superiore ai 250 punti base è stato solitamente accompagnato da una crescita media annua degli utili del 16% nel corso dei tre anni successivi. Per quanto tale tasso di crescita sembra difficile da raggiungere, le premesse per la redditività aziendale restano positive. È, quindi, possibile che gli utili possano continuare a sorprendere positivamente gli analisti nei mesi a venire, in linea con quanto avvenuto nella prima parte del 2011. Secondo i dati di Standard and Poor’s, infatti, ben 280 delle 448 società che hanno presentato i conti hanno battuto le attese degli analisti.
Tuttavia le potenzialità di rialzo sembrano essersi notevolmente ridotte a seguito del forte rialzo degli ultimi mesi, in particolare per il mercato azionario statunitense. Il modello di valutazione di lungo periodo che utilizziamo con riferimento allo S&P500 evidenzia come, alla luce dell’attuale quotazione, delle attese sulla crescita degli utili nei prossimi dieci anni e del P/e medio degli ultimi trenta anni, il rendimento medio che ci possiamo attendere nei prossimi dieci anni è inferiore alla media storica di lungo periodo, pur non essendo ancora stati raggiunti livelli estremi di sopravalutazione. Più pessimista è l’analisi di Jeremy Grantham, fondatore di GMO, società di gestione statunitense. L’esperto evidenzia come il fair value dello S&P500 sia a 920 punti, con un margine di discesa superiore di oltre il 30%.
Il recente rialzo delle richieste di sussidi di disoccupazione è un segnale negativo per lo S&P500, soprattutto qualora questo non dovesse dimostrarsi solo momentaneo. Fasi di rialzo delle richieste di sussidi di disoccupazione sono, infatti, solitamente state seguire da forti cali del mercato azionario, come evidenziato dal grafico in pagina.
Un elemento negativo per tutti i principali mercati azionari internazionali potrebbe essere la politica monetaria restrittiva adottata dalle principali banche centrali internazionali. Bill Heister di Hussman Funds ha recentemente evidenziato come dopo l’inizio della fase di rialzo dei tassi da parte della BCE più del 65% delle maggiori banche centrali internazionali hanno un livello dei tassi di interesse superiore a quello di sei primi. Tale circostanza è stata solitamente accompagnata da una performance negativa delle principali borse mondiali in tutti i periodi di riferimento presi in considerazione (1, 3, 6 e 12 mesi).
La maggiore incognita per i mercati azionari è, però, costituita dalla fine del QE2 della Fed in giugno. Con l’attuale fase positiva iniziata proprio quando la Fed ha annunciato che avrebbe reso la propria politica monetaria ancora più espansiva lo scorso mese di novembre, gli analisti temono che la sua fine possa coincidere con i massimi per gli indici azionari. Se, infatti, molti esperti di mercato stimano che una nuova manovra espansiva possa essere decisa in ottobre, contrariamente al consensus degli economisti che vede un primo rialzo dei tassi nel primo trimestre del prossimo anno, gli effetti sull’economia della fine degli acquisti della Fed sul mercato obbligazionario sono attesi con preoccupazione. I timori sono che ci possa un incremento dei tassi di mercato, con un impatto negativo sul mercato dei crediti, provocando un indebolimento della crescita economica. Ma, soprattutto, a preoccupare è la riduzione della liquidità sul mercato, che penalizzerebbe tutti i mercati finanziari. Le prossime mosse della Fed saranno, quindi, da guardare con particolare attenzione.



Nessun commento:

Posta un commento