giovedì 27 maggio 2010

Giappone: là dove il debito vola

E’ ampiamente risaputo che le logiche che muovono i mercati finanziari possono risultare molto difficili da comprendere. Non deve, quindi, sorprendere che appaia inspiegabile il fatto che il Giappone stia attraversando senza particolari scossoni una fase in cui le preoccupazioni degli investitori sono rivolte al forte indebitamento di molti paesi sviluppati nonostante il suo debito pubblico sia, in rapporto al Pil, il maggiore a livello internazionale e appaia destinato a salire in maniera consistente anche negli anni a venire. Il Fondo monetario Internazionale, infatti, ha calcolato che il debito pubblico giapponese sia salito al 217% del Pil nel 2009 e ha stimato che possa raggiungere il 227% nell’anno in corso e il 235% il prossimo anno. Se pensiamo che la Spagna, uno dei paesi più al centro dei timori nel corso delle ultime settimane, ha un rapporto debito/Pil che è stimato arrivare al 72% nel 2011 (stime della Commissione Europea), la rilassatezza degli investitori sul Giappone ha tutti gli aspetti di un conundrum.
Al contrario, molti asset giapponesi sembrano beneficiare di un movimento di fly to safety, apprezzandosi nelle fasi di debolezza del mercato, dando l’impressione che siano considerati come dei beni rifugio. E’ questo il caso, ad esempio, dello Yen Giapponese che nel mese di maggio ha guadagnato il 4% contro il Dollaro statunitense, l’11% contro l’Euro ed il 14% contro il Dollaro Australiano. Tuttavia, se il movimento sul valutario è spiegabile anche con la chiusura delle operazioni di carry trade, in cui lo Yen è solitamente la valuta di finanziamento, nelle fasi d’incremento del premio al rischio sui mercati finanziari, il calo dei rendimenti dei Governativi riflette come i titoli di stato giapponesi non risentano dell’elevato indebitamento del paese. Il rendimento dei titoli decennali è, infatti, sceso dall1.41% di fine aprile all’1.27% nel corso dell’ultima settimana.
In un articolo pubblicato lo scorso mese di febbraio avevamo evidenziato come l’economista del FMI Kiichi Tokuoka, in un recente studio dal titolo "The Outlook for Financing Japan’s public debt", avesse individuato nell’elevato tasso di risparmio nel passato (anche se rispetto al 10% del 1999 il tasso di risparmio è sceso al 2.2% nel 2007), nel forte orientamento verso gli investimenti domestici delle famiglie, nell'esistenza di grandi e stabili investitori istituzionali come la Japan Post Bank e il Government Pension Investment Fund e nei recenti flussi di risparmio di grandi dimensioni provenienti dal settore aziendale le ragioni dietro i bassi livelli dei rendimenti Governativi.
Tuttavia, Tokuoka ha spiegato che cambiamenti strutturali nel bilancio delle famiglie e degli attori chiave del mercato potrebbero indebolire la capacità di assorbimento del mercato dei titoli di stato giapponesi, rendendoli più sensibili al livello del debito. Per fare un esempio, il ruolo delle famiglie nel fornire fondi al mercato dei governativi rischia di diminuire poiché il tasso di risparmio può ulteriormente cadere dal livello attuale. Una simulazione dell'autore ha indicato che, in base alle tendenze attuali, il debito pubblico lordo nel 2015 potrebbe superare le attività finanziarie delle famiglie, supponendo che il tasso di risparmio delle famiglie rimanga al 2,2%.
Non sorprende, quindi, che sia il Fondo Monetario Internazionale che l’OCSE abbiano recentemente consigliato alle autorità di governo giapponese di ridurre sia il proprio deficit di bilancio, pari al 10% del Pil nel 2010, sia il proprio debito. Ad esempio, il Fondo monetario internazionale ha posto enfasi sul fatto che il piano fiscale che sarà presentato dal Governo nel prossimo mese di giugno dovrebbe prevedere un aggiustamento dei conti pubblici già a partire dal prossimo anno per permettere al paese di non perdere credibilità sui mercati.
L’OCSE ha evidenziato come una decisione in tal senso andrebbe presa anche se c’è il rischio che ne possa derivare un indebolimento della domanda interna.
Proprio la necessità di non bloccare la crescita economica applicando un piano di austerity è la maggiore sfida per il Governo nel corso dei prossimi mesi. Nonostante gli ultimi segnali di miglioramento (il FMI stima una crescita dell’1.9% nel 2010 e del 2% nel 2011), infatti, la ripresa economica giapponese rimane fragile essendo basata unicamente sulle esportazioni, mentre la domanda interna rimane debole a causa dell’elevata disoccupazione e dei bassi livelli dei salari reali. Nel primo trimestre del 2010, ad esempio, il Pil è aumentato dell’1.2% q/q, le spese per consumi sono salite solo dello 0.3%.
In questo scenario, e con il problema della deflazione che non dovrebbe essere risolto nel breve (il FMI vede i prezzi al consumo scendere sia nel 2010 sia nel 2011), la politica monetaria della BoJ sembra destinata a restare espansiva ancora lungo, con i tassi che dovrebbero restare fermi allo 0.1% ancora per diversi trimestri. Tuttavia, la BoJ dovrebbe difficilmente cedere alle pressioni del Governo e aumentare il piano di prestito alle banche per JPY20000 miliardi. In tal senso vanno lette le recenti dichiarazioni del Governatore della Bank of Japan Shirakawa, che ha dichiarato che lo scopo dell’azione di una Banca centrale è creare un ambiente economico stabile e che la stabilità dei prezzi non è il solo fattore.
Con tutte queste incertezze sulle prospettive dell’economia giapponese lo status di bene rifugio di molti suoi asset potrebbe ben presto essere messo in discussione dai mercati. Considerando anche i bassi rendimenti di questi asset, il loro acquisto non appare in questo momento conveniente.

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