martedì 9 marzo 2010

Euro debole e sacrifici, unica ricetta per la Spagna

Speciale sulla situazione in Spagna dello scorso 8 febbraio (www.matrada.it)

Sembra non esserci pace per i PIGS (Portogallo, Irlanda, Grecia Spagna). Una volta che la situazione in Grecia sembrava andare incontro ad una possibile stabilizzazione dopo l’avvallo della Commissione Europea al piano di rientro del deficit presentato dal Governo greco (anche se il suo cammino potrebbe rivelarsi tortuoso per le proteste già annunciate dai sindacati greci), nel corso della settimana sono esplose prepotentemente le preoccupazioni legate alla situazione dei conti pubblici in Portogallo e Spagna.
In Portogallo ha destato scalpore il negativo andamento dell’asta di obbligazioni governative a 12 mesi tenutasi nel corso della settimana appena conclusa, in cui le autorità portoghesi sono state obbligate a portare il quantitativo offerto da EUR500 milioni ad EUR300 milioni per evitare di pagare un rendimento troppo alto. Le tensioni all’interno del Governo sull’approvazione di un piano di austerity sono state un ulteriore motivo di preoccupazione per il Paese.
Tuttavia, sono soprattutto le condizioni in Spagna a destare le maggiori preoccupazioni, alla luce del maggiore peso della sua economia all’interno dell’area Euro. La Spagna, insieme all’Irlanda, era stata la maggiore beneficiaria della bolla sul mercato immobiliare che si era creata nell’ultimo decennio e ora sta pagando pesantemente le conseguenze degli squilibri che questa ha lasciato. La corsa all’acquisto di case e l’incremento dei prezzi ha avuto la conseguenza di aumentare in maniera esorbitante l’indebitamento di famiglie e imprese, finanziato attraverso un forte deficit delle partite correnti. Questo era salito sino a oltre l’11% del Pil nel periodo tra il terzo trimestre del 2007 ed il primo trimestre del 2008, e solo nella parte centrale del 2009 si è portato a livelli più sostenibili, scendendo al 4.4% del Pil.
Il Debito dell’economia spagnola rimane, però, su livelli esorbitanti. Secondo un recente studio di Mckinsey group la Spagna vanta un debito totale come percentuale rispetto al Pil tra i più elevati tra i paesi presi in considerazione. Quello che più preoccupa è che tale rapporto, al 366% del Pil nel secondo trimestre del 2009, appare destinato a crescere ulteriormente alla luce del forte peggioramento delle finanze pubbliche atteso nel corso dei prossimi anni. Come evidenziato in uno studio della commissione Europea del Novembre 2007 (“Asset boom and tax receipts: The case of Spain, 1995-2006”), infatti, l’elasticità delle entrate spagnole rispetto alla crescita del Pil era stata superiore all’unità nel corso del periodo di riferimento grazie al boom del mercato immobiliare: una volta venuto meno questo boom le entrate hanno sofferto oltre modo. A differenza di quanto avvenuto nel corso del 2008 e nel 2009, la politica fiscale del Governo potrebbe farsi restrittiva nei prossimi anni per cercare di porre un freno al deficit di bilancio che potrebbe rimanere sopra il 10% sia nel 2010 sia nel 2011, portando il rapporto debito/Pil a ridosso dell’80% dal 36% del 2007.
Un deleveraging da parte di famiglie (il cui debito è pari all’87% del Pil) e, soprattutto, imprese (141% del Pil) appare inoltre molto probabile nel corso dei prossimi anni, con conseguenze molto negative su quello che sarà il tasso di crescita dell’economia nel prossimo futuro. Non stupisce, quindi, che sia la Commissione Europea sia il Fondo Monetario Internazionale prevedano una nuova contrazione del Pil nel 2010 per la Spagna, che sarebbe, a quel punto, l’unica tra i maggiori paesi della zona Euro a non uscire dalla recessione. Con queste premesse, il tasso di disoccupazione, attualmente al 19.5%, potrebbe facilmente superare il 20% ed avvicinarsi alle più pessimistiche stime di una disoccupazione al 25%.
Uscire da questa situazione per l’economia spagnola non sarà affatto semplice né veloce. Come evidenziano i grafici in pagina, il boom degli ultimi anni ha fatto sì che l’economia spagnola perdesse competitività rispetto ai partner europei a causa di un forte incremento del costo del lavoro per unità di prodotto e del tasso di cambio reale. La produttività del sistema economico, inoltre, è scesa e si trova sotto il livello del 2000. Riguadagnare competitività nei confronti degli altri partner europei, quindi, sarà un processo molto lungo e dovrà necessariamente passare da una crescita di inflazione e salari più bassa rispetto agli altri paesi europei, se non negativa.
Nel breve, quindi, l’unico elemento di spinta all’economia potrebbe arrivare da un calo dell’Euro, che ne aumenti la competitività sui mercati extra-Euro. Il ribasso della valuta unica europea, provocato proprio dalle tensioni in Spagna e Grecia, nel corso delle ultime settimane va nella giusta direzione, anche se la strada da percorrere è ancora lunga. Come abbiamo più volte sottolineato nei nostri “Global Strategy Weekly” pubblicati nelle scorse settimane, infatti, l’Euro appare sopravvalutato nei confronti del Dollaro sulla base della Parità del Potere di Acquisto (PPP) calcolata dall’OCSE e un ritorno al fair value di 1.17 appare una possibilità tutt’altro che da escludere in un’ottica di medio periodo. La discesa dalla valuta unica europea sarebbe almeno un motivo di consolazione per gli altri paesi dell’area Euro qualora questi fossero costretti ad intervenire per salvare uno di questi paesi in piena crisi qualora la situazione dovesse peggiorare.


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