martedì 23 marzo 2010

La Fed da una spinta ai mercati

Questo è un estratto del report "Top Down Outlook" pubblicato lo scorso fine settimana. Per una prova di un mese vai sul sito www.matrada.it

La decisione della Fed di confermare, al termine dell’incontro di politica monetaria che si è tenuto nel corso della settimana, che i tassi resteranno invariati per un periodo di tempo esteso, per quanto ampiamente attesa dagli economisti, è stata accolta con particolare favore dai mercati finanziari internazionali. I maggiori indici azionari internazionali hanno, infatti, esteso il trend al rialzo delle ultime settimane ed i mercati obbligazionari hanno visto i rendimenti restare praticamente invariati nonostante i dati economici pubblicati nel corso dell’ultima settimana in Usa siano stati generalmente migliori delle attese.
Con i tassi sui Fed Fund che dovrebbero restare fermi almeno per altri 4-6 mesi – il tempo con cui il mercato ha tradotto la definizione di “periodo esteso” senza essere smentito chiaramente dalla Fed – le condizioni per una prosecuzione del trend al rialzo dei mercati azionari, in particolare con riferimento a quelli statunitensi, sembrano essere ancora ben presenti, nonostante dopo il recente rally la valutazione dello S&P500, con un rapporto P/utile medio degli ultimi 10 anni sopra 20, inizi a sembrare un po’ troppo elevata.
A dare fiducia sulle prospettive del mercato azionario è soprattutto la considerazione che fino a quando la Fed non inizierà ad alzare i tassi sui Fed Fund la curva dei rendimenti continuerà a restare molto ripida, con il differenziale tra i governativi a 10 anni e quelli a 3 mesi che resta ben al di sopra dei 300bp. Come avevamo evidenziato nel Global Strategy Weekly dello scorso 18 gennaio (“Cosa ci sta dicendo la curva dei rendimenti”) una pendenza della curva dei rendimenti molto elevata è, infatti, un segnale positivo non solo con riferimento all’andamento della crescita economica (gli studi accademici del passato indicano che le possibilità di una recessione con una curva dei rendimenti così elevata sono praticamente a 0) ma anche per l’andamento del mercato azionario statunitense.
Dal 1953, infatti, una strategia basata sul comprare l'S&P500 quando la curva dei rendimenti è positiva e uscirne investendo in T-Bill quando la curva dei rendimenti è invertita avrebbe guadagnato un 7,7% medio annuo composto, contro il 7,3% di una strategia buy e hold, senza considerare i rendimenti che si sarebbero ottenuti investendo in T-Bill nei mesi in cui non si investiva nel mercato azionario. Il rendimento medio mensile quando lo spread è positivo è 0,74% e quando è negativo è -0,2%. Quando il differenziale di rendimento è superiore al 3% come ora, situazione che si è verificata in 64 mesi a partire dal 1953 (il 10% del totale), l'S&P500 ha guadagnato un rendimento medio mensile dello 0,5%. Per questo motivo, qualora il differenziale di rendimento dovesse restare sopra il 3%, ci si può aspettare una performance positiva per l'S&P500 nei prossimi mesi, ma inferiore rispetto al rendimento medio mensile di lungo periodo (+0,65% dal 1953). Una performance positiva ma leggermente inferiore alla media sarebbe per altro in linea con quanto indicato dalla leggera sopravvalutazione del mercato.
Il motivo principale alla base della buona performance dello S&P500, ma più in generale di tutti i mercati azionari, in presenza di una curva dei rendimenti molto ripida è che questa è stata solitamente accompagnata da una crescita sostenuta degli utili aziendali negli anni a venire. Tale relazione è chiaramente mostrata dal grafico seguente che mette a confronto l’andamento del differenziale tra i governativi a 10 anni e quelli a 2 anni e l’andamento degli utili aziendali tratti dai dati di contabilità nazionale nei tre anni seguenti.

La pubblicazione venerdì 26 dei dati finali di contabilità nazionale di Q4 (la crescita del Pil non dovrebbe essere rivista rispetto al 5.9% q/q annualizzato della stima preliminare) dovrebbe del resto confermare come gli utili societari una volta tenuto conto della giusta valutazione delle scorte e degli ammortamenti, si stiano riprendendo, dopo il forte calo nel corso degli ultimi due anni e mezzo: dopo essere cresciuti del 10.7% q/q in Q3 ’09 dovrebbero salire di un ulteriore 3.8%, pur restando al di sotto del picco di Q3 ’06 di quasi il 15%.
Anche il mercato obbligazionario sarà fortemente influenzato nel breve dalla decisione della Fed di lasciare i tassi invariati per un periodo esteso. Il mancato rialzo dei tassi, infatti, dovrebbe fare sì che l’appiattimento della curva dei rendimenti che si può attendere nei prossimi mesi sia rimandato. Solitamente, infatti, una curva dei rendimenti molto ripida è solitamente stata seguita da un appiattimento della stessa, con un calo dei tassi a lungo termine e un aumento dei tassi a breve termine.
Tuttavia riteniamo che le attese del consensus degli economisti raccolto dalla Federal Reserve Bank di Filadelfia lo scorso mese di dicembre nel sondaggio Livingston secondo cui i tassi del Governativi statunitensi a 10 anni potrebbero salire al 4,1% alla fine del 2010, e al 4,64% entro la fine del 2011 riflettano assunzioni troppo ottimistiche sulle prospettive di crescita dell’economia statunitense e troppo pessimistiche sull’inflazione nei mesi a venire.
Infatti, nonostante i segnali di recupero emersi nel corso degli ultimi mesi, il potenziale di crescita dell’economia statunitense dovrebbe essersi ridotto in maniera notevole a causa della crisi degli ultimi due anni. In particolare, il processo di deleveraging da parte di famiglie e imprese dovrebbe pesare sulla crescita economica ancora per diversi anni.
I dati pubblicati in settimana hanno, invece, evidenziato come non ci siano segnali di un pressioni inflazionistiche nel breve termine. Al contrario, in febbraio l’inflazione core è scesa all’1.3% y/y, minimo dal febbraio 2004, mentre l’inflazione totale è scesa dal 2.6% y/y al 2.1% y/y.

Salvo il caso di un’impennata improvvisa dell’inflazione, di cui però appare difficile immaginare le cause, la parte a lunga dei rendimenti statunitensi sembra offrire ancora buoni margini di crescita, con gli investitori europei che potrebbero beneficiare anche dell’apprezzamento del Dollaro, il cui trend al rialzo nei confronti dell’Euro sembra avere ancora tanta strada da percorrere.

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